Il sogno di don Zaccaro porta la firma di Firenze Aprire una facoltà di Medicina in Albania
Era, ed è, un progetto ambizioso, il suo, ma don Carlo non si lasciava scoraggiare perché credeva nell’importanza di educare una classe medica sul posto, dandogli insegnamenti, posti di lavoro e mezzi. E con lui ci credeva il professor Giulio Masotti, che ne ha seguito l’evolversi per conto dell’Università di Firenze.
Per don Carlo “lamerica”, quella senza apostrofo che raccontò Amelio, non era in Italia, ma stava lì, nel Paese delle Aquile, dove il lavoro manca, ma ce ne sarebbe anche tanto da fare.
E la clinica ospedaliera, per curare quei bambini di cui voleva proteggere il futuro, è un passo fondamentale, l’opportunità di costruire la nuova dirigenza e un contributo necessario per raggiungere gli obiettivi che l’Albania si è data in nome degli “acquis” comunitari richiesti dall’Ue. E’ un qualcosa per cui bisogna lottare e continuare «a sperare contro ogni speranza», com’egli stesso scrisse in dedica su un libro che racconta la vita di don Facibeni.
L’intervista che don Carlo non ha avuto il tempo di rilasciare parlava dei suoi viaggi in Albania, delle personalità che vi riusciva a portare e di quelle che lì incontrava, a partire dal premier Sali Berisha. Personalità, al di qua e al di là dell’Adriatico, che lavoravano per uno stesso identico sogno, quello di preparare l’Albania ad entrare nell’Europa a testa alta.
Oggi la salma di don Carlo sarà esposta alla Madonnina (via delle Panche 28), mentre i funerali si celebreranno domani alle 15,30 nella Chiesa dell’Immacolata (via Fabroni). Cordoglio è stato espresso, oltre che da Renzi e Chiti, dal Governatore Rossi: «Ci mancherà molto, ma ci resteranno le sue opere concrete», ha detto. «Era l’uomo più generoso che abbia conosciuto — scrive Rodolfo Doni —. Posso citare due occasioni: quando mi volle portare in Albania per tenere una lezione e quando facemmo la rivista “Punti di riferimento”. In entrambi i casi disse: “Venderò un tavolo per sopperire alla spesa”. Era così, spendeva sempre di tasca sua».