giovedì 20 maggio 2010

Un «fulmine» piombato sulla Chiesa

09/07/2009 - 11:04 - Un «fulmine» piombato sulla Chiesa
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di Carlo Zaccaro

1. Don Lorenzo Milani: perché la Chiesa non l’ha capito? Con quella onestà intellettuale, unanimente riconosciutagli, saldata com’è alla sua cultura biblica, l’arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, si è posto questa domanda quasi alla fine della bella omelia pronunciata a Barbiana nella celebrazione eucaristica per il 42° anniversario della morte di don Lorenzo Milani (Mons. Betori: «Don Milani camminava avanti»).

La risposta è stata data dall’arcivescovo grazie ad un rinvio comparativo analogico con quanto era avvenuto fra don Primo Mazzolari e PaoloVI. A chi lo accusava di non aver voluto bene a don Mazzolari, PaoloVI risponde: «No, non è vero: io gli ho voluto bene. Certo…non era sempre possibile condividere le sue posizioni: camminava avanti con un passo troppo lungo e spesso non gli si poteva stare dietro. E così ha sofferto lui ed abbiamo sofferto anche noi. E’ il destino dei profeti».

Mi domando: può essere rivisitata la risposta di Paolo VI adottata da Betori, ed in certo qual modo riconfermata dalle parole di stima e dall’auspicio formulato da Benedetto XVI nell’udienza del primo aprile alla Fondazione Primo Mazzolari?

Penso di sì con l’aggiunta di una glossa che, senza alterarne il limpido contenuto, ci aiuti a capire da dove questi testimoni attingevano la forza di quel «Camminare avanti a passi troppo lunghi»: se da una presuntuosa esaltazione di se stessi o da un umile e nascosto ascolto della volontà salvifica di Dio. Perchè è da questo discernimento che nasce la preoccupata doverosità di alzare il livello di guardia od abbracciare le segnalazioni che provengano dalla loro personale testimonianza.

2. Forse è bene partire dalla riflessione sulla scelta di Benedetto XVI di affidare il patrocinio dell’anno sacerdotale al Curato d’Ars e a padre Pio da Pietralcina, due santi martirizzati dall’initerrotto esercizio del ministero della riconciliazione, affidato da Gesù alla sua Chiesa il giorno stesso della sua Resurrezione. Evidentemente l’ha ritenuto di essenziale importanza. Di questo sacramento don Lorenzo era un impaziente fruitore aggredendo ogni sacerdote che varcasse la soglia di Barbiana e che non trovava scampo se non si piegava al desiderio del priore di essere riconciliato, il quale - detto fra parentesi - era un angelo.

Cosa ha voluto dire il Santo Padre con questa scelta? Ci limitiamo ad una sola motivazione: a fronte dell’attuale crisi epocale, Benedetto XVI ha individuato nel coraggio di rinunciare alla nostra impura autosufficienza la unica e singolare possibilità di poter tornare a vedere Dio, somma Bellezza e sommo Amore, diventando cittadini di quella città di Dio dove S. Agostino fa abitare coloro che lo hanno amato fino al disprezzo di sé. Si tratta, in realtà, di un salto qualitativo dell’universale vocazione alla santità, cui è chiamato ogni uomo ed ogni donna, per essere in grado di capire i segni dei tempi.

Non ci sarebbe, infatti, da stupirsi se proprio per la vastità globale di questa crisi apocalittica, Dio, che sa trarre il bene anche dal male, non preparasse per mano di coloro che «camminano avanti a passi troppo lunghi» lo snodo al tendenziale processo di unificazione del mondo.

Già don Lorenzo aveva previsto l’irrompere in Europa delle tumultuose frontiere della povertà nel suo famoso libro Esperienze pastorali di cui il priore di Barbiana mi lesse una lettera altamente compiaciuta di Luigi Einaudi che lo invitava a presentare il testo ad un concorso per la libera docenza universitaria. È molto probabile che l’invasione spinta dalla fame - il Direttore generale della Fao, Jacques Diouf, calcola che entra il 2009 gli affamati saranno oltre il miliardo - diventerà incontenibile, se non sarà contenuta da un effettiva ed autentica conversione degli egoismi nazionali ed internazionali.

3. Il successo del «G8» è legato alla soluzione, almeno embrionale, di questo dramma. L’incontro che al termine dei lavori avrà il Presidente degli Stati Uniti con il Papa (per me non sarà un «normale» colloquio) al quale riconosce una leadership straordinaria, può segnare un punto a favore della speranza. Si sa quanto soffra il Papa se anche recentemente rivolgendosi ai membri dell’Accademia Pontificia di Scienze Sociali, lui solitamente misurato nelle espressioni, usi parole di fuoco: «per i Cristiani che regolarmente chiedono a Dio “donaci oggi il nostro pane quotidiano” è una tragedia vergognosa che un quinto dell’umanità soffra ancora la fame».

Anche don Lorenzo dovette arrossire quando sbocconcellando da seminarista un pezzo di pane bianco, inviatogli da casa, in un vicolo di S. Frediano si sentì apostrofato da una donna affacciata alla finestra della sua casa che gli gridò: «Vergogna, non si mangia il pane dei ricchi nelle strade dei poveri». Fu un grido trasverberato per sempre nella sua vocazione sacerdotale, nata uno actu con la sua conversione. Da questo episodio gli si fece strada la considerazione della santità oggettiva di vita dei poveri, al confronto di quella dei ricchi epuloni.

I poveri ci sono messi accanto perché amandoli ci si possa, almeno in piccolissima misura, sdebitare dell’infinito amore gratuito, ricevuto per essere donato. Il dialogo 64 di S. Caterina da Siena è un bellissimo commento al Giudizio Universale del capitolo XXV di S. Matteo.

Ma don Lorenzo non era classista. La lettera a Pipetta, splendida spigolatura dell’esodo colta ai giorni nostri, come è stato detto lo dimostra. Severino Dianich, dopo aver affermato giustamente che al povero della beatitudine non è proponibile la controbeatitudine della ricchezza, ma la beatitudine della giustizia, si meraviglia dello sfogo di tipo escatologico violentemente espresso da don Lorenzo a Pipetta: «Ti manca il pane! Che vuoi me ne importasse a me quando avevo la coscienza pulita di non averne più di te, che vuoi me ne importasse a me che vorrei parlarti solo di quell’altro pane che tu dal giorno che tornasti prigioniero e venisti con la tua mamma a prenderlo non mi hai più chiesto. Pipetta tutto passa. Per chi muore piagato sull’uscio dei ricchi, di là c’è il pane di Dio. È solo questo che il mio Signore mi aveva detto di darti». Ma ha torto l’eminente teologo perché don Lorenzo, da anima costituzionalmente contemplativa, non era impegnato nei tornanti della lotta sociale, ma nel trasferire nell’ostile quadrato che circondava la sua rivoluzionaria esperienza scolastica, gli effetti della adorante contemplazione della kenosi del Verbo al quale, repentinamente chiamato, si era con assoluta immediatezza e totalità donato.

4. È stato insegnato da Hans Hurs Von Balthasar che «la grande tradizione contemplativa, quando almeno fu autenticamente cristiana ed evangelica, attinse la propria vita da un’intuizione assai più profonda, dalla convinzione, cioè, che qualsiasi opera di solidarietà umana si trova di fronte agli stessi limiti contro cui andò a cozzare la vita stessa di Gesù e che l’opposizione del mondo, sempre più decisa e tenace, può essere superata solo da un’incondizionata dedizione della propria esistenza a quel Dio che nell’esecuzione del proprio piano redentivo del mondo può disporre di questa esistenza a favore di tutti i nostri fratelli. L’uomo finito - anche l’uomo Gesù non ha altro mezzo per corrispondere all’infinita volontà di Dio che la propria assoluta disponibilità, il proprio Fiat incondizionato e sempre più profondo, la volontà di lasciarsi condurre "dove tu non vuoi" (Gv. 21,18)» (Hans Hurs Von Balthasar, Sorelle nello Spirito: Teresa di Lieuseux e Elisabetta di Ligione, Introduzione, Iaka Book).

In questa assoluta disponibilità si coglie il centro di gravità spirituale di don Lorenzo, tornito dalla Santissima Trinità, sostenuto nella speranza dello Spirito Santo, mangiato dalla fede in Gesù Cristo, prediletto dal Padre, fatto felice perché il priore di Barbiana era riuscito ad amare Michele Francuccio più di Lui.

Si rischia di non capire don Milani se non si tiene conto della sua dimensione di contemplativo «scomodo» quanto si vuole, ed in parte quanto Lui voleva capace di urtare a bella posta le persone per nascondere l’intimità gelosamente custodita del suo rapporto preferenziale ed assoluto con il Signore.

Da quando, ancora cappellano a Calenzano, mi confidò la sua ammirazione per il monachesimo benedettino, ho pensato sempre a Barbiana come ad una rustica abbazia benedettina, dove il monaco priore fungeva in realtà da Abbas con quei ragazzi di montagna, che figuravano da aspiranti novizi sottoposti ad una severa disciplina, ma in compenso allietati dall’insegnamento del «miglior maestro del mondo».

5. La luce che si sprigiona ancora da Barbiana, il suo tentativo fiondistico di davidica memoria, di cambiare sistema perché la persona umana abbia il chiaro ed immediato riconoscimento dei suoi diritti che non gli derivano certo dallo Stato perché la persona stessa è diritto in quanto nasce come soggetto di diritto, principi questi espressi dalla nostra Costituzione ad opera del costituente Giorgio La Pira, lo vede espresso icasticamente dalla lettera «Ai giudici» più che dalla lettera «Alla Professoressa» per la quale - presago della sua diffusione - mi mandò a rimproverare l’editore, l’amico Vittorio Zani, perché ne aveva fatto una tiratura di solo 5000 copie.

«Il ragazzo (oggi diremo il minore) non è ancora penalmente imputabile - scrive don Lorenzo - e non esercita ancora diritti sovrani, deve solo prepararsi ad esercitarli domani ed è perciò da un lato nostro inferiore perché deve ubbidirci e noi rispondiamo di lui, dall’altro nostro superiore perché decreterà domani leggi migliori delle nostre. Ed allora il maestro deve essere per quanto può, profeta, scrutare i segni dei tempi, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso. Anche il maestro è, dunque, in qualche modo fuori dal nostro ordinamento eppure al suo servizio. Se lo condannate, attentate al processo legislativo». Sono parole pesanti come macigni, di straordinaria bellezza antologica. Gridata da un angolo eremitico del Monte Giovi, la parola del maestro di Barbiana ha avuto una internazionale cassa di risonanza. Dal sacrificio di una vita autenticata totalmente e radicalmente donata, è diventata patrimonio comune ai paesi del nostro pianeta, perché il povero (minore o straniero che sia) ritrovi in se stesso la calma audacia di giocare a fronte alta il suo ruolo di figlio benamato da Dio e di sereno respiro di protagonista nella costruzione di quella città terrena che Peguy ha definito: «il cantiere dove la città di Dio si elabora e si prepara».

6. Perché la Chiesa non l’ha capito? Riprendo in mano l’introduzione di Hans Hurs Von Balthasar che scrive: «all’interno della Chiesa, che è il corpo di Cristo, ci sono missione e vie di santità che dal corpo tendono di più verso il capo ed altre che dal capo tendono più verso il corpo… ci sono delle missioni che piombano sulla Chiesa come fulmini celesti, in quanto devono far riconoscere una volontà unica ed irrepetibile di Dio nei suoi confronti, ma ce ne sono anche altre che crescono nel seno della Chiesa, della comunità, degli ordini religiosi e che, per la loro purezza e coerenza, diventano il modello delle altre. Le prime vengono da Dio e si sviluppano nella Chiesa che, se vuole obbedire allo Spirito Santo, deve accoglierle ed inserirle nella concreta pienezza della sua santità; le seconde nascono dalla Chiesa, sono fiori che Essa nella sua grazia feconda ha fatto sbocciare e che presenta a Dio come le proprie primizie… nella canonizzazione del primo gruppo è più la Chiesa che obbedisce al Signore, nella canonizzazione del secondo è più il Signore che accondiscende al giusto desiderio della sua Chiesa».

Perché la Chiesa non l’ha capito? È stato difficile anche per i futuri Apostoli, esperti pescatori e profondi conoscitori del lago, non aver paura del ciclone dei venti che avevano scatenato l’improvvisa tempesta, tanto da svegliare il Signore dormiente a poppa della barca, durante quella traversata che doveva portarli all’altra riva.

Le missioni di coloro che Dio invia alla sua Chiesa «come fulmini celesti» per portarci all’altra riva assomigliano a quei venti che agitarono le acque a tal punto che alla sicurezza del mestier di pescatori subentrasse la paura fino a mettere a rischio la fede.

Nella mente di Dio missioni come quella affidata a don Lorenzo sono primizie anticipatrici di futuri, abbondanti raccolti; per la nostra poca fede, causa di turbamenti e di involontarie incomprensioni.

Santa Messa per i 10 anni dalla morte di don Carlo Zaccaro

22 Maggio alle ore 18 nella Chiesa di San Michelino Visdomini in via dei Servi a Firenze. Santa Messa per i 10 anni dalla morte di don Car...