mercoledì 25 gennaio 2012

Una lettera di don Carlo pubblicata su SUPPLEMENTO D'ANIMA

SUPPLEMENTO D'ANIMA
n. 98 - 15/12/2011: Cattolici e politica, tra astensionismo e voglia di impegno
http://www.associazionecsc.com/Supplemento-d-anima/n.-98-15/12/2011-Cattolici-e-politica-tra-astensionismo-e-voglia-di-impegno.html#diciannove

Una lettera rivelatrice
Lettera a
suor Maria Evangelista Fabbrini, originaria di San Giovanni Valdarno, vissuta per quasi tutta la sua vita di carmelitana a Firenze, prima nel monastero di S.Maria Maddalena de’ Pazzi, nei pressi di Careggi, e poi sui colli sopra Scandicci, all’Eremo S.Maria degli Angeli. Uno dei suoi interlocutori era don Carlo Zaccaro. ................. Si tratta di una lettera rivelatrice non solo dei due corrispondenti, ma anche di due grandi personalità del laicato cattolico impegnato in politica (uno di loro, come si sa, diventò sacerdote e fondatore di una comunità consacrata): Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira. ........ Quale altezza e profondità spirituale nell’indimenticabile deputato e sindaco di Firenze! (GS) La lettera che pubblichiamo porta la data del 24.4.2004.

Carissima Suor Evangelista,
La sua ultima lettera è immagine dell’amicizia che Dio ha voluto donarci fin dai lontani giorni primaverili della nostra consacrazione al Signore, quando cantavamo con “giubilo” il nostro amore per Lui. Se in certi momenti il giubilo ci viene sottratto, rimane il cantus firmus del nostro cuore purificato da ogni ritorno interessato e compiaciuto magari dalla nostra stessa povertà.
Ieri sera ero a parlare con don Renzo Rossi e il prof. Scivoletto a Bologna in S.Domenico di Giorgio La Pira. Suor Evangelista potrebbe fare un balzo anche dal letto ricordando il suo affetto per voi monache giovanissime del Carmelo. Lui così piccolo è un gigante della spiritualità, diventa strumento di elezione del Verbo nella Pasqua del 1924 e risposta sconfinatamente generosa alla preghiera di Gesù: ut unum sint. Le voglio dire che Lei in questo momento assomiglia a Lui in uno di quei momenti descritti da Dossetti e di cui Le trascrivo il testo: «Io ho visto La Pira – scrive Dossetti – in momenti di successo e di relativa serenità esterna; l’ho visto spaventosamente abbattuto, annientato”. Ed evoca una scena risalente agli inizi del loro sodalizio a Roma tra il ’45 e il ’46. «Non c’erano ragioni apparenti di contraddizioni dall’esterno. Eppure tutta la sua vitalità e la sua capacità di gioia sembravano spente. Passava ore ed ore steso sul letto, senza sorriso, senza vita, con un dolore e un candore indescrivibile, niente di incomposto e di tormentato, ma solo con un atteggiamento di abbandono dolcissimo ad una sofferenza misteriosa che non mi è parsa mai l’analogo di altre sofferenze umane possibili e che richiamava l’atteggiamento di un agnello. Ho sempre presunto di intuire che quei momenti o periodi (e ce ne furono ben altri durante i trent’anni successivi) non fossero altro che grandi purificazioni passive».
Ma la consapevolezza di essere scelto da Dio – “La Parola zittì chiacchiere mie” (Clemente Rebora) la Parola della croce - dette la forza del profetismo a La Pira e quando Dossetti a lui febbricitante sul letto andò a comunicargli che sarebbe diventato sacerdote perché ormai i giochi erano fatti e addensandosi in lunghi ragionamenti voleva dimostrare che il partito comunista avrebbe finito con il vincere in Italia, il professore replicò con forza: «No, perché è ateo».
L’unione fa missione. Inaspettatamente ho ricevuto gli auguri dalla Priora del Carmelo di Careggi. Le sofferenze offerte cementeranno un’unione che sembrava impossibile raggiungere. Ma il Signore è onnipotente e ci risusciterà dalla morte corporale.
Un devoto fraterno abbraccio, nel Signore
Don Carlo


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Di seguito una sintesi degli interventi ai Martedì di San Domenico di cui si parla nella lettera.

http://www.centrosandomenico.it/cgi-bin/csd_anno_resoconto?CODICE=20041123

Anno Sociale 2004 - 2005

I Martedì di San Domenico
con il patrocinio di Provincia di Bologna

23 novembre 2004
Idealità e pratica politica
Cento anni di Giorgio La Pira
Renzo Rossi, Angelo Scivoletto, Carlo Zaccaro


Salutato da Valeria Cicala, che ringrazia per il patrocinio la Provincia di Bologna e sottolinea l'importanza di ricordare ai giovani figure esemplari del recente passato, prende avvio un commosso ricordo-rievocazione di Giorgio La Pira e della sua opera da parte di tre persone che ebbero modo di conoscerlo e di stargli a fianco.
Angelo Scivoletto, sociologo all'Università di Parma, ricorda la sicilianità di La Pira e insieme il suo grande innamoramento per Firenze ("Caro Pugliatti, motivi soprannaturali mi dicono di fermarmi a Firenze"), per una città che trasformò, a partire dal 1951, in "città degli incontri" (unica municipalità che prevedeva impegni e spese di politica estera) e da cui si congedò politicamente nel 1965 quando si sentì dato per scontato come sindaco (capolavoro di ascetismo e di distacco). Il trasporto e la spontaneità cristiana trovavano in lui un interprete capace di grande concretezza ("io sono ragioniere") e insieme di progetti arditi (la comunione dei popoli, il superamento dei blocchi Est-Ovest, l'eliminazione della guerra come strumento politico). L'instancabile viaggiare di La Pira era una poesia di confusione che produceva però risultati enormi (la sua bozza di accordo con Ho Chi Min fu utilizzata, otto anni dopo, nei negoziati Usa-Vietnam). L'anno 1945 - con la res nova dell'atomica, con l'ipoteca tragica che pesa sull'intera Umanità - è il momento chiave della sua vocazione di "sindaco della pace": ciò che fece in seguito va considerato non come l'opera irripetibile di una persona eccezionale né come un agire di altri tempi, ma come esempio pratico, riproducibile, come tappa di un cammino obbligato, perché "tutto converge piano piano nella pace dei popoli". La Pira può essere oggi ritenuto un modello per i politici del futuro.
Don Renzo Rossi, già missionario in Brasile, ricorda in La Pira l'uomo dalla grande fede, dalla grande speranza, dalla immensa carità: l'uomo della gioia. La sua era un'esperienza biblica trasmessa in senso politico, e la preghiera ne costituiva una parte essenziale, tanto che lo si può definire un contemplativo nell'azione. Una fede a volte faticosa la sua, perché vissuta assumendo in prima persona la sofferenza che gli veniva da fuori. Significativo e più che mai coerente fu dunque l'incessante prodigarsi per i poveri e i disoccupati ("non lascerò senza difesa la parte debole di questa città"), un modo di interpretare il suo ruolo di primo cittadino che lasciava spesso interdetti. Montanelli (che non comprese mai pienamente La Pira) sosteneva che per fare il sindaco di Firenze occorreva o un pazzo o un santo. Ebbene: La Pira riusciva a mettere insieme la santità e la pazzia. La sua grande capacità di sogno (ma ben concreto: vedi Vietnam, Algeria, Palestina...) ne ha fatto un personaggio che - al pari di don Milani - non si esaurisce mai, ci precorre sempre. Don Carlo Zaccaro, dell'Opera Madonnina del Grappa di Firenze, descrive la risposta personale di La Pira a Dio, che lo chiama, lo aggredisce, lo afferra (esperienza mistica, Pasqua 1924), e il conseguente ascetismo, la scelta di vita monastica contornato dai domenicani a San Marco. Il suo agire, in effetti, era frutto della contemplazione. La Pira ha sempre avuto chiarissima coscienza di una missione personale ricevuta da Dio: volle essere laico per essere missionario nel mondo. Per lui servire il povero era come celebrare l'eucarestia (non quindi assistenza, ma sacramento). Nonostante i suoi numerosissimi viaggi, raramente mancava a due appuntamenti: il sabato sera alle carceri e la domenica mattina alla messa dei poveri in San Procolo. Le sue malattie improvvise, inspiegabili, testimoniano di una sofferenza misteriosa che La Pira attraversava per poi tornare alla sua sociologia: "ogni persona è un fine". Apostolo della resurrezione ("Se Cristo è risorto, che avete paura?"), profeta in politica (ateismo tallone d'achille del comunismo, zone "calde" in cui operare per la pace), La Pira non risparmiava energie e parole di conforto, anche nei momenti più difficili; per i quali - citando Rostand - amava ripetere: "Quanto più fonda è la notte, tanto più vicina è l'aurora".

domenica 1 gennaio 2012

CI HA LASCIATI MARIA GIOVANNA DI NOMADELFIA



Ieri, con la fine dell'anno, ci ha lasciati Maria Giovanna di Nomadelfia.
Era responsabile delle scuole e si era occupata dei figli di Nomadelfia che hanno proseguito gli studi all'Università di Firenze.
Alcuni di loro hanno vissuto con don Carlo a Villa Guicciardini.

In questo momento siamo vicini a Beppe (il marito), a Terenzio, agli altri figli e a tutta Nomadelfia.



VEDI http://www.nomadelfia.it/ita/news/maria_giovanna.html

VEDI ANCHE

11/01/2012 - 15:01 - L’ultima danza per Giovanna, la maestra di Nomadelfia


DI MAURIZIO NALDINI









Il popolo di Nomadelfia ha inaugurato quest’anno con un funerale. Se n’è andata Maria Giovanna, una delle colonne della comunità di don Zeno, alla quale fu affidata la missione di organizzare e dirigere la scuola. Prima le elementari, poi le medie, le medie superiori. Negli ultimi tempi Giovanna era riuscita ad andare oltre. E grazie a gruppi di amici fiorentini - don Carlo Zaccaro per la Madonnina del Grappa, da Gigliola Borgia a Ghita Vogel, all’Associazione Fioretta Mazzei ecc.- era riuscita a dare ai suoi ragazzi una casa ed un aiuto, perché frequentassero l’università a Firenze.

Ancora adolescente, Giovanna aveva scelto di essere una delle madri di don Zeno. Veniva da una importante famiglia del Nord Italia, era colta, aveva modi raffinati, parlava poco ma sapeva ascoltare, non negava mai il suo aiuto a chi aveva bisogno. Quando don Zeno la invitò ad entrare nella comunità, si trovò ad insegnare italiano e storia ai suoi coetanei. Ebbe sempre un ruolo guida, riconosciutole da tutti con naturalezza. Eppure, era talmente umile che nessuno poteva mai umiliarla. Testimoniava una fede attiva. Con le sue opere, seppe indicare un futuro a Nomadelfia anche dopo la morte di don Zeno. Questo non le impedì di essere moglie, madre, con i suoi figli e quelli di adozione.

Negli anni, Giovanna svolse anche altri ruoli, fondamentali per la Comunità. Era lei ad accogliere i giornalisti che capitavano a Nomadelfia per raccontare come un’utopia potesse diventare realtà. Erano gli anni in cui si faceva un gran parlare dei kibbutz israeliani e delle comunità maoiste, dei figli dei fiori, dei Bambini di Dio ed altre esperienze del genere. Qualcuno credeva per davvero, in quei giorni, che il futuro del mondo fosse nelle comunità californiane o in quelle marxiste. Occorreva davvero molta fede per credere che Nomadelfia sarebbe rimasta l’unica, mentre tutto il resto crollava, intorno a noi.

Ho conosciuto Giovanna in una di queste occasioni. Per una intervista a don Zeno, quindi per i suoi funerali. Noi, inviati speciali delle più varie testate, rientravamo da una dura esperienza a Beirut. Scrivevamo in quei giorni anche di mafia e terrorismo. E ricordo come molti colleghi, cinici all’apparenza, crollarono in lacrime mentre Giovanna spiegava cosa fosse Nomadelfia, mentre i bambini ballavano intorno alla bara aperta di don Zeno.

Per cinquant’anni Giovanna ha svolto il suo compito nella comunità. E adesso che aveva vinto anche l’ultima battaglia, quella per mandare i ragazzi all’università, ha ceduto all’abbraccio del Signore. È morta per le conseguenze di una lunga e sofferta malattia la sera di San Silvestro. I funerali si sono svolti il 2 gennaio. E anche per lei i giovani in costume hanno danzato, mentre il cielo si apriva all’orizzonte - festa di luci dopo un giorno di pioggia - con un tramonto insolito a gennaio, anche in Maremma. La chiesa era colma. Da Firenze erano venuti in molti. Tutti sapevano che i Nomadelfi, popolo di autentica fede che dà scandalo in nome del Vangelo,sanno trasformare i funerali in una festa. E così è stato, anche per Giovanna.


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Riporto di seguito un articolo apparso su Famiglia cristiana che parla anche di lei.

DA FAMIGLIA CRISTIANA
http://www.stpauls.it/fc03/0351fc/0351f103.htm

LA FAMIGLIA
LA STORIA: NOMADELFIA, LA COMUNITÀ DI DON ZENO SALTINI


IL SOGNO VERO DELLA GRANDE
"FAMIGLIA DI FAMIGLIE"



Beppe lo incontriamo al centralino: più che "centralinista", preferisce definirsi "ortolano". Comunque è Beppe e basta, perché anche i cognomi sono superflui per chi vuole essere semplicemente un "fratello". Beppe a Nomadelfia c’è sempre stato: è arrivato con don Zeno nel 1954, quando questo pezzo di Maremma era poco più che una pietraia. È uno dei 5.000 "accolti" che sono passati di qui: lui ha deciso di restare. Sua moglie, Maria Giovanna, è approdata a Nomadelfia a 19 anni.

«Avevo incontrato don Zeno presso le Orsoline di Cortina, dove studiavo», spiega, «sono venuta per curiosità e poi sono rimasta per scelta: sono convinta che mi ci abbia portato il Signore».

Lei e Beppe si sono sposati e hanno avuto 10 figli tra "naturali" e "accolti": sono una delle 50 famiglie di Nomadelfia, la comunità fondata da don Zeno Saltini per vivere il Vangelo come lo vivevano le prime comunità cristiane.

Don Zeno era di Carpi (Modena): ordinato sacerdote, aveva cominciato prendendo come figlio un ragazzo appena uscito di prigione. A San Giacomo Roncole, nel 1932, aveva fondato l’"Opera Piccoli Apostoli" per dare una famiglia ai bambini abbandonati. Nel 1947, con la sua gente, aveva occupato l’ex campo di concentramento di Fossoli, per dar vita a una società evangelica.

Vita comunitaria, in sobrietà

Don Zeno è morto nel 1982. Oggi i "nomadelfi" sono più di 300. A Nomadelfia, che in greco significa "legge di fraternità", non c’è proprietà privata, non circola denaro, tutto è in comune, compresi i lavori più pesanti. Si vive con sobrietà, per non essere "né ricchi né poveri". Ci sono gli orti, i laboratori, le viti, gli ulivi e anche una Tv via cavo. Un presidente è eletto democraticamente ogni quattro anni. Ma la famiglia è alla base dell’organizzazione sociale.

«La famiglia è l’unica istituzione voluta dal Creatore», spiega don Enzo, 90 anni, successore di don Zeno. La famiglia dei nomadelfi cerca di ritrovare una parentela superiore, che nasce dal riconoscimento di Dio come padre. Vuole essere generosa e aperta agli altri. Sono 11 gruppi: comunità di quattro, cinque famiglie che vivono insieme, in un’unica abitazione centrale con intorno le casette individuali adibite a stanze da letto. Ogni tre anni si cambiano la casa e la composizione dei gruppi.

«Il gruppo ci aiuta, anche nel rapporto di coppia», continua Maria Giovanna, «le tensioni si attenuano. Siamo coppie di sposi o genitori di vocazione o anche single. Ci aiutiamo a vicenda. Io ho avuto 10 figli e non sono mai stata a casa: tutti gli adulti si sentono genitori di tutti i nostri figli».

Maria Giovanna è responsabile della "Scuola familiare" di Nomadelfia. «Da noi la famiglia è protagonista anche per quanto riguarda l’educazione scolastica: è una possibilità consentita dalla costituzione. La nostra scuola rispetta i programmi, ma propone la nostra visione della vita e mette al primo posto la fraternità e la generosità».

Gli studenti sono 140, dall’asilo alle superiori. L’obbligo scolastico arriva ai 18 anni. I ragazzi si presentano agli esami come privatisti, ma non ci sono voti. «A 18 anni i nostri figli decidono se vogliono rimanere o prendere altre strade: noi non li cresciamo con l’idea che debbano essere di Nomadelfia. Vogliamo che questo sia per loro un trampolino di lancio e che, qualunque scelta facciano, siano capaci di amare e siano utili agli altri». Sandro si occupa dell’accoglienza. A Nomadelfia arrivano più di 10.000 visitatori all’anno, accolti e ospitati in famiglia. Dal 2000 è disponibile anche una foresteria.

«Siamo una comunità aperta, come cittadini del mondo viaggiamo e facciamo viaggiare i nostri figli», continua Sandro, che è arrivato qui a 23 anni, da Subiaco. «Studiavo ingegneria, ho fatto una scelta di cui non mi sono mai pentito: chi lascia Nomadelfia si porta dietro una nostalgia che dura per sempre».

Anche Antonello è venuto qui per scelta, 35 anni fa. Ha deciso quando ne aveva solo sei: «Ero in collegio a Santa Severa quando è arrivato don Zeno con la sua gente per organizzare le famose "serate danzanti" di Nomadelfia. Ero piccolo, ma capivo che i loro bambini erano liberi e felici, e io no. Quando sono partiti, ho preso la mia roba e sono salito in pullman con loro».

Simonetta Pagnotti

Santa Messa per i 10 anni dalla morte di don Carlo Zaccaro

22 Maggio alle ore 18 nella Chiesa di San Michelino Visdomini in via dei Servi a Firenze. Santa Messa per i 10 anni dalla morte di don Car...