giovedì 19 novembre 2009

Una «fionda» contro l’eclissi della verità

DA http://www.toscanaoggi.it/notizia_3.php?IDNotizia=12077&IDCategoria=207

19/11/2009 - 09:56 - Una «fionda» contro l’eclissi della verità

di Carlo Zaccaro

Non credo che sia mai accaduto nella storia del papato che decisioni, dichiarazioni, scelte, siano state prese affidandosi all’improvvisazione. Scelte ed atti della Sede Apostolica portano piuttosto le stigmate di plurime riflessioni risolte, infine, alla luce di una confidente preghiera.

Se poi pensiamo alla meticolosità di Papa Ratzinger, alla sua vita di appassionato studioso, ci pare sempre più evidente che richiamando alla cattolicità la memoria di Paolo VI, abbia voluto dare con profonda convinzione un segnale forte alla rotta di navigazione di quella barca di cui «forte della parola di Cristo, Pietro sta con fermezza al timone».

Perché dico questo? Perché il fatto della scelta di render omaggio a Paolo VI nella sua Brescia dà una forza singolare alle preoccupate ammonizioni che, sotto l’ombra di amabili espressioni, nascondono l’urgenza di un indilazionabile richiamo alla conversione.

Esplicito tre delle molte ammonizioni che si potrebbero enucleare dal testo dell’omelia:

1) Un invito ad una ferma e visibile resistenza, a fronte alta, contro l’invadenza dell’eclissi della verità.

Allo splendore della verità si sta sostituendo la prostituzione di un’opinione, lontana le mille miglia dal credere che nella versione greca dei Settanta traduce l’ebraico âman, diventato nella nostra liturgia l’amen. Credere è affidarsi a Dio che è roccia solida, stabile, fedele. Aprirsi a Dio vuol dire ricevere la sua grazia, la sua vita divina che è verità.

L’opinione, costruita con i falsi ma potenti e variegatissimi mezzi di comunicazione, fa maggioranza e detta legge. Dalla storia di Brescia e dall’antifascismo Montiniano parte il richiamo a non cedere alla tentazione di aiuti che possono essere elargiti da faraoniche industrie di guerra o farmaceutiche per carpire taciti silenzi, anziché severe condanne verso questa torbida e inquietante discendenza di Caino.

La fionda di Davide abbatte il gigante Golia. Non potrebbe essere recuperata nello spirito «la fionda», la pubblicazione fondata a Brescia dal giovane Giovan Battista Montini e dal suo più caro amico Andrea Trebeschi morto martire nel campo di concentramento di Gusen? Non potrebbe essere spezzato il compromesso con la rete mondiale di relazioni finanziarie che adorano il gigantesco «vitello d’oro»? Lo potremo certamente fare se amassimo di più Chi per noi da ricco si è fatto povero, e se capissimo esistenzialmente che qualunque cosa si faccia favore dei piccoli, lo abbiamo fatto a Lui.

2) Questa eclissi della verità, sostituita dalla deificazione dell’opinione maggioritaria fluttuante nel mare mosso dei singoli egoismi, è possibile perché finanziata dal denaro diventato la nuova idolatria. Questa contende il campo allo «Spiritus Veritatis», al primato dell’anima, a quel primato dello spirituale che Pio XI aveva voluto indicare al mondo istituendo la festa di Cristo Re (1925) sorgente di quel fiume di grazia che ha convertito il pensiero degli spiriti più eletti, sia in Italia che in Francia.

Vittore Branca, che ha conosciuto Montini quando era assistente nazionale della Fuci, in «Protagonisti del 900» (ed. Aragno) scriveva a pagina 201: «Montini si è impegnato a dare sempre ed a qualsiasi costo – a costo delle più violente contestazioni, delle più acrimoniose impopolarità – aperta e chiara testimonianza della verità».

Nel 1930, in un appunto intitolato «Spiritus Veritatis», ed inviato ai suoi fucini, Montini aveva scritto all’inizio: «Voglio che la mia vita sia una testimonianza alla verità per imitare Gesù Cristo come a me si conviene».

Nell’ultimo colloquio avuto con Paolo VI, Vittore Branca ebbe la netta percezione che il Papa vivesse drammaticamente il fatto che l’eclissi della verità nel mondo, anziché attenuarsi, sembrava farsi sempre più grave ed oscura: «Il Satana presente nel mondo di oggi – gli confidò Paolo VI – è il denaro ritenuto in sé e per sé il bene».

3) Amare la Chiesa. Fui presente all’omelia che il Sostituto della Segreteria di Stato monsignor Montini dettò ai partecipanti del primo congresso nazionale della Fuci (gennaio 1946). Il tema era «Amare la Chiesa» e si snodava come il leit motif di una sinfonia che non aveva termine. Se si ascoltano le parole del suo testo «pensiero alla morte», largamente citate da Papa Benedetto XVI, ci si rende facilmente conto che l’amore alla Chiesa aveva acceso di fuoco l’arco di tutta la sua esistenza. «Potrei dire che sempre l’ho amata e che per essa e non per altro mi pare di aver vissuto. Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse»; e poi ancora: «è alla Chiesa a cui tutto debbo e che fu mia che dirò? Le benedizioni di Dio siano sopra di te abbi coscienza della tua natura e della tua missione, abbi il senso dei bisogni veri e profondi dell’umanità e cammina povera, cioè libera, forte ed amorosa verso Cristo».

Ma «Una Chiesa povera» aperta ad gentes, al rinnovamento, al dialogo, come è stata voluta, amata, «sposata» da Paolo VI, ha bisogno di figli che terribilmente soffrono quando la bellezza immacolata del suo volto mariano si corruga per ricorrenti tentativi, ad ogni svolta storica, di emarginarla, confinandola nei recinti delle private coscienze.

Ripartiamo dalla «Fionda» di Papa Montini, avvalorata ed onorata dal sacrificio di autentici apostoli, laici e sacerdoti, per amare la Chiesa, non quella che mi progetto io tra amici pur validi e solidali, ma la Chiesa che mi ha consegnato con il suo «Spiritus Veritatis» dall’alto della sua croce il Figlio di Dio e che per mezzo dei suoi apostoli debbo corresponsabilmente portare a compimento.

giovedì 25 giugno 2009

La lezione sinodale di un giusto

DA http://www.toscanaoggi.it/notizia_3.php?IDNotizia=11476&IDCategoria=368

25/06/2009 - 11:27 - La lezione sinodale di un giusto

di Carlo Zaccaro

Martin Buber, una delle più significative figure tra i nostri «fratelli maggiori», commentando un polittico salmico, ha voluto – così interpreta il biblista Ravasi nel presentarne il libretto: Il cammino del giusto (ed. Gribaudi) – dar forza ad alcune immagini del bene e del male senza arrestarsi alle soglie del privato, cioè a livello personale, ma piuttosto con il fine di colpire il conseguente aspetto sociale e politico che è quello che in definitiva fa storia.

Due, infatti, sono le scelte che nella concretezza della vita s’impongono all’uomo: accettare di vivere una situazione esistenziale dai recinti ben definiti che ha in sé il proprio centro nelle ragioni della propria autosufficienza (potremmo chiamarla carnale con il linguaggio paolino) o un’esistenza che richiede di non avere in se stessa il suo punto di appoggio, ma di averlo fuori di sé (existieren) nella «vis» attrattiva del T trascendente di Dio. Tutta la vita di Alberto – questa è la sua più alta lezione – è stata la feriale, coerente, fedele trascrizione di questa seconda scelta, impossibile senza la preghiera, da lui mai ostentata, ma che ne faceva un rabdomante abile a discernere le acque di sorgente da quelle di cisterna. La forza della sua invisibile preghiera gli consentiva di riproporre senza stancarsi, tra le variegatissime vicende negative diventate quasi pane quotidiano, una nuova frontiera giornalistica per un progetto culturale montinianamente ispirato – furono importanti per Lui gli anni della Fuci che avrebbe dovuto riparare le breccie causate dagli eccessi di opposti proselitismi. Al di là e al di sopra del successo di questo progetto una cosa è certa: la preghiera di Alberto, divenuta il cantus firmus della sua vita, a poco a poco decapitava le diffidenze degli estranei ai lavori e riuniva intorno a Lui il consenso sempre più convinto ed affettuoso dei collaboratori e la stima degli avversari.

Perché? Perché Alberto attraverso la forza della preghiera aveva centrato e dato una sua avvincente risposta, con il settimanale che si avvaleva della sua paternità, al bisogno profondo dell’uomo: «Noi abbiamo bisogno – scriveva Ionesco citato dal teologo Ratzinger – di ciò che è fuori del tempo; infatti cosa è la religione senza il sacro? A noi non resta niente, niente di stabile, tutto è in movimento... Eppure abbiamo bisogno di una roccia» (Joseph Ratzinger, Toccati dall’invisibile, Queriniana p. 181). Nelle varie stagioni della Chiesa fiorentina che si sono succedute durante la sua direzione del settimanale, si guardava ad Alberto come a una roccia, che nella sua ferma dedizione al fascino della verità (veritatetm facentes in caritate) costruiva la casa del settimanale su la triplice Fedeltà proclamata da S. Cipriano: nihil sine episcopo, nihil sine consilio vestro (detto al presbiterio), nihil sine consensu vestro (detto al popolo). Forse aveva ben riflettuto su quanto aveva scritto il teologo perito conciliare Ratzinger: «In questa triplice forma di cooperazione alla costruzione della comunità sta il modello classico della democrazia ecclesiale che non nasce da una trasposizione insensata di modelli estranei alla Chiesa, bensì dall’intima struttura dello stesso ordinamento ecclesiale e che è perciò conforme alla esigenza specifica della sua essenza» (Joseph Ratzinger, Democrazia nella Chiesa possibilità e limiti, Queriniana 2005, pp. 160-161).

La sua scomparsa dalla scena visibile di questo mondo permette ora di fare un bilancio della sua inesausta opera al servizio della Chiesa, da Lui amata con amore verginale. Quale? Egli ha reso con la sua testimonianza giornalistica e di vita incontrovertibile l’urgente necessità di quel passaggio che il laicato deve essere «costretto» a fare dal ruolo di collaboratore (anche un gregario è un collaboratore) a quello di «corresponsabile». Lo riconferma Benedetto XVI il 26 maggio al convegno ecclesiale della Diocesi di Roma.

«È necessario migliorare l’impostazione pastorale così che nel rispetto delle vocazioni e dei ruoli dei consacrati e dei laici si promuova gradualmente la corresponsabilità dell’insieme di tutti i membri del popolo di Dio. Ciò esige un cambiamento di mentalità riguardante particolarmente i laici, passando dal considerarli “collaboratori” del clero a riconoscerli realmente “corresponsabili”, dell’essere e dell’agire della Chiesa, favorendo il consolidarsi di un laicato maturo ed impegnato».

Alberto ha dato la vita per quest’opera di consapevolezza – è stata la sua Kenosi – a cui si doveva arrivare non per singole anticipazioni che vi sono state e stupende, raccolte poi dal Concilio, ma per quella graduale e universale trasformazione da Lui, costantemente perseguita in cospectu Domini sempre attento ad evitare «banali accondiscendenze», tenace seminatore «in silentio et in spe» della radicalità del vangelo nel campo (spazio e tempo) offerto dalla Divina Provvidenza a ciascuno di noi.

E' abbastanza noto l’episodio di Alessandro Manzoni che al capezzale di Antonio Rosmini, ormai morente, angosciato, domanda all’amico un programma che in qualche modo continui a renderlo presente fra i suoi. La risposta di Rosmini porta il profumo dell’evangelo di Giovanni: «Adorare, tacere, godere».
Viene il legittimo dubbio che questo potrebbe essere stato il programma spirituale adottato da Alberto.
Fervido adoratore dello Spirito di verità non fu meno brillante fruitore e datore di quella gioia al mondo, che nasce dall’amore ligio all’insegnamento di Vittorio Bachelet secondo il quale «per dare la gioia al mondo non devo chiedere di scendere dalla croce ma di salirvi».

Un inalterabile Amen è stato pronunziato nella giornata serena della sua comunità, fondata dal Vescovo Giuliano, padre nella fede, e ai piedi del crocifisso nell’aspra solitudine della sofferenza.

Ma nel tacere Alberto ha nascosto la dolcezza del suo silenzioso colloquio con Dio e il disappunto irenico per i ritardi e l’incomprensione del suo progetto da parte di coloro che pur gli volevano bene. Dobbiamo riconoscere noi, eletti amici per bontà sua, di aver poco lavorato a quel processo di trasformazione del laicato a cui Egli sinodalmente soleva pervenire.

Siamo stati, in realtà, allievi parzialmente disattenti alla lezione che un grande Maestro con signorile umiltà ci ha impartito come segno efficace di sicura speranza.

Santa Messa per i 10 anni dalla morte di don Carlo Zaccaro

22 Maggio alle ore 18 nella Chiesa di San Michelino Visdomini in via dei Servi a Firenze. Santa Messa per i 10 anni dalla morte di don Car...