giovedì 22 maggio 2008

Il vero miracolo di don Facibeni


da http://www.toscanaoggi.it/notizia_3.php?IDNotizia=9776&IDCategoria=208


22/05/2008 - 10:33 - Il vero miracolo di don Facibeni

di Carlo Zaccaro

Toscanaoggi aveva anticipato la settimana scorsa, nelle pagine fiorentine, la notizia che la Madonnina del Grappa ha consegnato a Roma la documentazione di una «guarigione prodigiosa» attribuita all’intercessione di don Giulio Facibeni. Un fatto che - se venisse riconosciuto - potrebbe essere il miracolo che costituisce l’atto finale del processo di beatificazione, aperto nel 1989. Riprendendo questa notizia, alcuni giornali hanno anche rivelato alcuni particolari di questa guarigione, che avrebbero invece dovuto restare riservati. Prendendo spunto da questa vicenda don Carlo Zaccaro (uno dei primi collaboratori di don Facibeni, ed ancora oggi uno dei sacerdoti più attivi della Madonnina del Grappa, di cui segue le missioni in Albania) propone alcune riflessioni sui «miracoli» di don Facibeni.

L'intempestiva incursione del giornalista nell’ignara casa di riposo dell’Opera Madonnina del Grappa per venire a conoscere, con astuzia alquanto rozza, il nome secretato del destinatario di un fatto che la Chiesa deve ancora dichiarare miracoloso, sottoposto com’è ai periti del processo canonico sul Servo di Dio don Giulio Facibeni, è senza dubbio una scorrettezza da deplorare.
Ma non tutto il male viene per nuocere, se questo episodio servisse a smitizzare l’enfasi che la nostra debole fede dimostra quando si accalca intorno all’argomento «miracoli», quasi volesse così sfuggire all’impegno di una vita eroica spesa tutta per gli altri, come quella dei santi che illuminano il cielo della Chiesa fiorentina.
Perché la loro grandezza non sta nei miracoli che compie Dio solo, ma in quello che della loro esistenza terrena hanno lasciato compiere a Dio. Dio ha trovato nella loro risposta quel tal buon lino che Gli ha consentito di tessere loro addosso una splendida veste nuziale. Una veste, aggiungiamo, che alla fine della loro vita si è ridotta ad un cencio per essere stata strappata dalle incessanti richieste dei poveri, i veri padroni di quella veste gemmata.
Allora il miracolo è un altro e noi tutti siamo dei miracolati e questo avrebbe dovuto tener presente il nostro temerario giornalista. Il miracolo è dato dal percorso che Dio fa compiere, quasi sgomitolandola, alla fase terrena dell’esistenza umana per portarla ascensionalmente alla vetta di quella perfezione prevista dal progetto di Dio. Ma la vetta è la croce.
La verità è che il destinatario di un miracolo facibeniano non è tizio o caio o sempronio, ma è un’intera città e Firenze è particolarmente fortunata, perché nella sua storia secolare abbondano gli artisti, i teologi come Dante e i santi che le conferiscono quella singolare «vis» attrattiva, unica al mondo, e ne fanno una città posta sul monte.
Dio si è compiaciuto di dotarla nel secolo scorso di una straordinaria duplice paternità: quella religiosa rappresentata dal cardinale Elia Dalla Costa e da don Facibeni, e quella civile rappresentata dal sindaco santo Giorgio La Pira, in una stupenda circolarità, nella distinzione di ruoli e di intenti. Ma mentre il cardinale Dalla Costa nella sua eminente ieratica figura ci aiutava ad inginocchiarsi (videte vocationem vestram) dinanzi all’ineffabile trascendenza di Dio donandoci la gioia, trasmessa dal suo sguardo «teandrico», di servire la Chiesa con uno stile profetico vetero-testamentario - la sua inarrivabile difesa dei fratelli ebrei a cui chiamò tutta la Chiesa fiorentina affonda le sue radici spirituali in questa stupenda continuità, da lui incarnata, di un Nuovo Testamento che agostinianamente latet sub antiquo - altro è il miracolo facibeniano. Lui che da giovane assistente degli Scolopi aveva agitato in alto il tricolore per la riconciliazione tra Stato italiano e Chiesa cattolica e su quella bandiera aveva idealmente adagiato i corpi straziati dei suoi fanti caduti sul Monte Grappa, si è trovato alla fine dei suoi giorni a tenere nell’incerta mano tremante per il parkinson un bianco fazzoletto quasi ostensorio della resa completa del suo corpo e della sua anima a Gesù crocifisso. Non è questo il vero miracolo di don Facibeni che con la sua palese sofferenza ha portato l’immagine sacramentaria di un Dio Padre a casa di ciascuno di noi?
Noi fiorentini siamo tutti dei miracolati. Don Facibeni ci ha insegnato con la sua vita che l’onnipotenza di Dio e un’onnipotenza d’amore, non di potere. Un’onnipotenza vulnerabile, fra l’altro, dalla nostra libertà a tal punto che abbiamo nelle nostre mani il potere di far sperare Dio, che si confonde e investe nella nostra vita in una lotta analoga a quella con Giacobbe, divenuto Israele, e somigliante tanto alle ansie e alle aspettative, alle speranze tipiche di ogni autentica paternità.
E se siamo figli - ci dice San Paolo - siamo anche eredi. E se è così, non siamo forse dei miracolati?

lunedì 7 agosto 2006

Ricordo di Annalena Zoli

da http://www.meic.net/index.php?id=555

Ricordo di Annalena Zoli

di don Carlo Zaccaro, già assistente del Gruppo Meic di Firenze

Martedì 6 giugno è morta, dopo una lunga malattia, Annalena Zoli, figura di spicco del laicato cattolico fiorentino. Figlia di Adone Zoli, è stata pediatra molto stimata, impegnata, anche negli ultimi anni, in un’opera di assistenza ai bambini cerebrolesi a Scutari (Albania). Per lunghi anni si è impegnata nell’Azione Cattolica ed è stata vicepresidente del Gruppo fiorentino del Movimento Laureati di Azione Cattolica.


La forte determinazione con la quale Annalena ha voluto nascondere l'avvicinarsi inarrestabile del suo esodo dalla scena terrestre alla Casa del Padre, anziché mortificare il discernimento della vigorosa traiettoria spirituale della sua vita, ce ne facilita la lettura e, volesse il cielo, anche l'apprendimento.

Perché se è vero che ogni vita cristiana dovrebbe essere un quinto evangelo, come ci ricorda il dimenticato scrittore Mario Pomilio, l'esistenza terrena di Annalena è un continuum di forti richiami estremamente attuali, non potendosi archiviare come vecchio uno standard di comportamenti che rappresenta un valore permanente, dalle grosse falle etiche dei nostri giorni reso ancor più apprezzabile e necessario.

Anche con un'opera di scavo che rimane forzatamente in superficie, sebbene confortata da una lunga consuetudine di amicizia, i punti nodali della personalità di Annalena,su cui, con quella signorilità indulgente e quasi complice, ci permette di riflettere ma con lo scotto di una seria verifica alla autenticità della nostra vita cristiana, colti rapsodicamente, tra tanti altri, potrebbero essere questi.


1) Il primo, mi pare sia dato dall'importanza delle radici. Non si può capire Annalena avulsa dalla sua famiglia, da cui è nata e da cui è stata educata. Annalena si è sempre resa consapevole dei valori inestimabili di questa famiglia posseduti e a lei integralmente trasmessi. Nel ricordino della mamma, morta il 12 febbraio 1985, è trascritto un pensiero della signora Lucia: "la vita è un viaggio spesso difficile e arriviamo talora alla fine molto stanchi, molto ammaccati... ma se abbiamo saputo amare e servire Dio, fare del bene al prossimo, che cosa sono queste prove in confronto alla felicità che ci è . preparata?".

Non ci sentite l'eco della prima di Pietro (1,6): "siate ricolmi di gioia anche se ora dovete essere per un po' di tempo afflitti da varie prove perché il valore della vostra fede - molto più preziosa dell'oro che pur destinato a perire si prova tuttavia con il fuoco - torni a nostra lode gloria onore nella manifestazione di Gesù Cristo"?

Per Annalena la famiglia ha costituito sempre irrinunciabile dono di natura e di grazia, condividendone, con letizia soprannaturale, tutte le vicende, dalle privazioni della libertà conseguenti le minacce del fascismo imperante, alla partecipazione nella lotta di liberazione, alla ricostruzione democratica della nostra città e del nostro paese. L'accompagnava sempre una limpida visione di fede che le ha consentito, in tutte le situazioni, anche quando il babbo ricopriva ministeri importanti fino alla Presidenza del Consiglio nel 1957, di rimanere nell'umiltà delle antiche amicizie, indossando l'abito feriale della self made woman, circondata da una stima oltre che dall'affetto che inorgogliva il Presidente, assistito durante le sue prolungate permanenze romane da Maria Teresa.

Ora Annalena è libera di cantare con il Salmista: "hai mutato il mio lamento in danza, la mia veste di sacco in abito di gioia, perché io possa cantare senza posa, Signore, mio Dio, ti loderò per sempre" (Ps 29).


2) Da questa famiglia Annalena ha imparato a fare le scelte proprie di una donna forte. Ha imparato ad attingere alle sorgenti l'acqua pura della grazia e del rispetto e dell'amore del prossimo, fosse anche un avversario.

C'è un pensiero di Guitton che potrebbe adattarsi benissimo alla filosofia di vita, alla scelta culturale di Annalena. "Io temo - dice Guitton - che il cristianesimo sia tentato di trascurare l'essenziale, di voltarsi verso il mondo, verso il successo collettivo, verso la quantità e non verso la qualità pura. Mi ricordo ciò che mi diceva Bergson: la qualità è la quantità di domani". Appropriata ad Annalena anche la riflessione di Chesterton: "il mondo è un'idolatria delle cose intermedie che fanno dimenticare le ultime". Aveva assimilato troppo la parola di Dio per cadere nella tentazione cui, invece, paradigmaticamente andò soggetto il popolo di Israele meritevole del castigo minacciato per bocca del profeta Geremia. "Perché il popolo ha commesso due iniquità: essi hanno abbandonato me sorgente d'acqua viva per scavarsi cisterne, cisterne screpolate che non tengono l'acqua" (Ger. 2,20). Non è forse il rimprovero che si addice ancora al grigiore contemporaneo delle nostre coscienze?


3) La professione di medico-pediatra costituiva per Annalena il suo servizio liturgico in conspectu Domini.

E' comprensibile che nei nostri giorni diventi sempre più difficile dare unità interiore e semplificazione alla nostra vita di comunione con il Signore. Certo non c'è vita cristiana senza un incontro personale con il Signore che non ti domanda "qualcosa", lasciandoti proprietario despota di una non meglio definita riserva di caccia, ma che vuole il tuo amore, il tuo totale e personalissimo coinvolgimento per riportare alla luce, anche per mezzo del più piccolo gesto umano qui su questa terra, oscurata dalla terribile nube tossica dell'egoismo, lo splendore della misericordia del Padre. Egli non solo accetta, ma è grato del sostegno a vincere quella sfida posta nel cuore dell'uomo in possesso della terribile facoltà di scelta tra una civiltà dell'amore ed una cultura di morte.

Non so il numero dei bambini assistiti e curati da Annalena pediatra in più di cinquanta anni di professione. Ma una cosa è certa: accanto alla sua non comune competenza professionale scattava in contemporanea la sua visione liturgica di collaborazione con Dio, creatore e salvatore, a fare di quell'esserino miracoloso che aveva tra le mani un futuro membro vivo e fervente della Sua Chiesa. E nella consapevolezza di questa sua missione è stata così abbondante la luce ricevuta dall'alto che le sue cure si sono rivolte con maggiore sollecitudine ed amore a quelle creature, icone della passione del Signore, fossero gli ospiti della Principessa di Piemonte o i numerosi cerebrolesi delle case famiglie di Scutari o gli allievi portatori di handicap delle scuole speciali albanesi. Significativa la sua Presidenza presso l'Istituto degli Innocenti.


4) Ubbidiente in piedi. Originaria di Predappio, la famiglia Zoli aveva una distinta casa con annessi terreni agricoli di cui era stata mezzadra colei che diventerà donna Rachele Mussolini. La quale manifestava, dopo il tragico epilogo del fascismo, la sua riconoscenza al suo vecchio datore di lavoro, lasciando cadere un fiore sulla tomba di Adone Zoli perché da Presidente del Consiglio (1957) aveva dato con un chiaro gesto di superiore umanità l'autorizzazione al trasferimento della salma di Mussolini da Milano nel cimitero di Predappio, dove ora riposa anche Annalena e dove ogni duello, anche politico, si placa nella pace e nella luce della Risurrezione del Signore.

Non è soltanto per la comune origine romagnola che i valori e gli ideali della famiglia Zoli abbiano trovato in don Facibeni, Pievano di Rifredi e padre degli orfani dell'Opera "Madonnina del Grappa, il più forte e stabile sostegno spirituale. Vi era la reciproca affettuosa stima ed amicizia, sorretta da un tacito sodalizio, che onorava la bandiera del "veritatem facentes in caritate".

All'ingresso di casa Zoli, posta in quella piazza che ora si chiama "Piazza della Libertà", poteva mettersi un benvenuto di questo tenore: "Amicus Plato, sed multo magis amica veritas”. All'interno, chi poteva sostarvi anche per un momento, poteva facilmente rendersi conto di una meravigliosa "concordia discors", "tutti per uno ed uno per tutti", una vibrante dinamica altruistica nella quale non era possibile star sull'uscio delle situazioni senza impegnarsi ciascuno fino in fondo

Lo studio Zoli di via dei Gondi poi era la finestra aperta sull'inquietante condizione della società civile del tempo e veicolava quelle sollecitazioni alla difesa della libertà e della propria dignità personale che antesignavano in qualche modo la costruzione del futuro democratico.

Del resto il babbo avvocato Adone e lo zio avvocato Luigi erano sicuri punti di riferimento per il foro fiorentino e maestri di professionisti che hanno messo la loro competenza a servizio della città, in particolare nelle amministrazioni civiche guidate dal Sindaco Giorgio La Pira, in maniera disinteressata e con la consapevolezza della vocazione di alto profilo che Firenze aveva per avvicinare i popoli all'unità della pace.

Educata al disprezzo di ogni enfiagione e di ogni protagonismo, in Annalena abitava inossidabile scrupolo di non anteporre mai quello che poteva sembrare un interesse proprio all'interesse e al bene degli altri. Pur potendo, per le doti che aveva, primeggiare, si è fatta sempre "seconda". Ma questo Le ha dato una grande libertà interiore che non l'ha mai vista genuflessa di fronte ai detentori del potere di quel momento, né condizionata dal fatto di dover ringraziare qualcuno se era arrivata a posti di responsabilità e di prestigio.

Dirigente nei movimenti culturali di A.C. (FUCI, Laureati), sia a Roma che a Firenze, ha sempre con grande franchezza espresso il suo pensiero sul valore della laicità nella Chiesa e dell'importanza del suo affrancamento da ogni forma di neoconservatorismo.

Certo le discussioni in famiglia si arricchivano della presenza di Mons. Franco Costa, di Mons. Emilio Guano che sostavano volentieri in casa Zoli ogni qualvolta erano di passaggio da Firenze. E' anche noto che il Cardinale Dalla Costa intervenne presso le autorità tedesche per salvare la vita al babbo ed allontanare la minaccia ricattatoria dell'arresto al figlio Gian Carlo. Pur in questi tragici frangenti, Annalena non si esimeva dal farsi notare - occhiali scuri in volto - alla S. Messa di S. Procolo l'indomani degli arresti persecutori, testimone di una fede che va oltre e spezza il cerchio della violenza.


In un piccolo, ma aureo - come tutte le cose di don Barsotti - libretto uscito ora dopo la sua morte: "Gesù e la Samaritana" (Libreria Editrice Fiorentina), don Divo dice che Dio viene a noi come bisognoso di quel che gli possiamo dare. E spiega: "la cosa più grande nell'amore di Dio non è il fatto che Egli ci ama, ma il fatto che Egli ci chiede l'amore quasi non potesse fare a meno di quello che noi possiamo dare a Lui". Annalena è vissuta in una stagione nella quale, come ebbe a dire Pio XI rivolgendosi al Cardinale Verdier di Parigi, bisognava ringraziare a mani giunte la Provvidenza perché i tempi - si era prima dello scoppio della guerra mondiale - non permettevano di essere mediocri. E i tempi - lo sappiamo da S. Agostino - siamo noi.

Collocate nel nostro tempo le scelte forti di Annalena, pur nascoste nell'umile ferialità del quotidiano, hanno intarsiato, come in un mosaico, il luminoso vessillo di una croce gemmata che Gesù ci chiede di riprendere dalle sue mani - alter alterius onera portate - perché di questo nostro personale dono Egli ha bisogno per estendere la stupenda storia di salvezza di Risorto a tutte le genti ed in tutti i tempi.

giovedì 4 maggio 2006

L'OSSERVATORE TOSCANO 4 maggio 2006































L'OSSERVATORE TOSCANO DEL 4 MAGGIO 2006

Un mese di iniziative: così Firenze ricorda il “Padre”


CARLO ZACCARO

giovedì 6 ottobre 2005

Raffaello Torricelli

DA http://www.toscanaoggi.it/notizia_3.php?IDNotizia=5418&IDCategoria=330

06/10/2005 - Raffaello Torricelli

di Carlo Zaccaro

«Ecco ti ho disegnato sulle palme delle mie mani» (Isaia 49,16). Se l’uomo, ogni uomo anche il più anonimo perduto su i marciapiedi di Calcutta o nelle favelas del Sud America, con la sua vita e con la sua morte si rivela una parola uscita dal seno di quella Parola «che zittì chiacchiere mie» (Clemente Rebora), il transito di Raffaello Torricelli ci consente di leggere ad alta voce una pagina di quel quinto vangelo redatto dalla «non facile ma felice vicenda cristiana» (Paolo VI) e colta nel dinamismo personale della sua missionarietà, ora trasferitasi in cielo.

Altri ed in altra sede avranno il doveroso compito di evidenziare non per una nostalgia del passato, ma per un’ispirazione del futuro, il suo complesso articolato impegno, splendidamente coerente fin dalla giovinezza verso la città dell’uomo in perfetta consonanza con l’attaccamento alla città di Dio, di cui la Chiesa è il Regno allo stato pellegrinante e crocifisso.

Certo Raffaello Torricelli non è una cattedrale nel deserto. Nasce da una famiglia di distinte e profonde radici cattoliche i cui ascendenti ospitarono don Bosco a Firenze. È il tempo in cui Padre Giovannozzi, l’insigne scolopio che trascinò mezza Italia con il suo insegnamento religioso e scientifico, commissiona la fondazione dell’associazione studenti medi superiori «Italia Nova» a don Giulio Facibeni. Torricelli ha un discepolato ricco di ammirazione e di affetto con don Bensi. Nel 1930 si trova ad essere responsabile dell’Azione Cattolica fiorentina quando, dopo i fatti di violenta persecuzione, il regime fascista adotta una spessa diffidenza verso il «bigio» associazionismo cattolico. Già prima della guerra era riuscito a creare uno studio professionale legale di prima grandezza dove ha per praticante Luciano Bausi e colleghi di valore come Lorenzo Cavini e il prof. Giuliano Mazzoni, orientati ad esercitare le loro competenze nella promozione del bene comune sul bene privato.

Intanto Dio l’affianca con una donna meravigliosa, la dottoressa Mimma Caligo, attuando da giovani sposi il biblico messaggio del Signore e riversando sui figli e l’intera famiglia un fiume di benedizioni da parte di Mimma dal cielo e dopo la di lei morte da Raffaello che prende sempre più il ruolo di un patriarca dolcissimo e amatissimo.
Più che sfiorare l’argomento di una valutazione su l’incidenza che nella storia del cattolicesimo fiorentino avrà tracciato la sua personalità, ci possiamo azzardare a dare una risposta ad un perché. Perché Raffaello Torricelli è stato luce e sole per tutti? (Matteo V). perché è stato amato da tutti, non solo dai suoi, tanto da pensare - come Lui ci autorizza a fare - che non avesse nemici se non silenziosi invidiosi?

La risposta, anche se molto riduttiva, potrebbe essere duplice. La prima: perché ha saputo dimostrare la condizione giovanile dell’esistenza cristiana. Nei suoi occhi si poteva sempre ammirare - e rimanerne affascinati - la luce animosa di un bambino, che scrutando nel fondo della sua bisaccia di pellegrino diventato novantenne, aveva la risposta giusta e saggia per ogni domanda che gli venisse rivolta anche dal buio di situazioni compromesse. La risposta accompagnava un invito alla speranza perché comunicava con signorile discrezione il calore e la gioia della sua fede. Era la gioia di credere per amare di più per aiutare di più, per volgere la competenza - e competenza vuol significare quantità di potere - giuridica, vera ars aequi et boni, alla tutela delle parti più deboli, vasi di coccio nello scontro processuale con vasi di ferro. La sua esistenza terrena potrebbe essere paragonata a quella dell’agricoltore del salmo che getta anche tra lacrime nascoste la sua semente e nel tornare, scrutati i segni dei tempi, viene con giubilo alla casa del Padre, portando i suoi covoni.

Dio ha avuto simpatia con Raffaello perché Dio ama chi dona con gioia e lui è stato un grande seminatore di gioia. Questa è la ragione del suo essere così vicino alle aspettative dei giovani sempre accolte ed incoraggiate sul piano ontologico della formazione alla fede.

La condizione giovanile della sua vita era sostenuta dalla sua totale adesione alla pratica sacramentale che ne faceva un familiare di Dio. Non avrebbe commesso un furto se si fosse appropriato delle parole di S.Paolo: «Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal. 2,20). Cenando con Lui assiduamente riceveva come effetto riflesso da spandere insieme a Mimma e ai suoi il profumo di una proposta a vivere l’autentica avventura cristiana dell’amore che richiede la liberazione dal peccato.

Una seconda risposta potrebbe essere questa. Raffaello ha capito i profondi bisogni dell’uomo moderno: sono i bisogni dell’uguaglianza - è nota la sua simpatia per don Milani - dell’amicizia, della speranza come ha descritto un eminente filosofo del diritto Giuseppe Capograssi, conosciuto e stimato da Raffaello. Bisogna anche non dimenticare che l’avvento del mondo moderno è da una parte del cristianesimo impiantato in Occidente in paesi ricchi.
Oggi si avverte da un sempre più grande numero di uomini e di donne di avere istituzioni che promuovano l’accoglienza di persone libere e responsabili al fine di un loro progressivo sviluppo.
I credenti poi devono avere quella forza di trasformazione e purificazione che oltre alla necessaria riforma sociale riconduce l’uomo alla genuinità della sua missione: tradurre nel quotidiano divenire dell’umanità l’attualità del mistero di Cristo vero Dio e vero Uomo. Vorrei chiamarla la santità laicale dell’hinc et nunc.

Non direi infatti, che la santità di Raffaello sia stata una santità profetica come quella di Giorgio La Pira. Mi aiutava a ricordarlo il discorso di Sharon all’ONU che auspicava una capitale per il popolo palestinese già individuata quaranta anni fa da La Pira in Ebron capitale per sette anni di David prima del trasferimento dell’arca dell’alleanza a Gerusalemme.

È stata una santità che mirava a raggiungere l’ideale storico, quello che della profezia si può realisticamente realizzare in tempi prossimi. Anche la capacità di progettare per far più bella ed accogliente Firenze, più che dal gusto di un’estetica pur largamente posseduta e confortata da raffronti storici, aveva un’origine più alta: il dono della preghiera e della contemplazione.
La sua feriale visione contemplativa, attratta dalla bellezza di quel Dio che ora gode faccia a faccia, ha voluto donarla - contemplata aliis tradere - alla città posta sul monte perché tutti potessero più agevolmente orientare in quella ricerca del Signore che vuole, nella sua sconfinata misericordia, salvi tutti gli uomini.

Così il cielo della santità fiorentina si è arricchito di un’altra stella, ma Raffaello non ci ha certo lasciato. La sua luce, anzi, può ora spandersi liberamente sul capolavoro della sua famiglia, su la città amatissima, su la Chiesa fiorentina perché consapevole dei molti doni di Dio possa mettere a frutto del suo dinamismo missionario questa autentica santità laicale dei suoi figli. Questi hanno aperto una strada che non sarà più deserta.

«Ecco ti ho disegnato su le palme delle mie mani». «Le tue mura sono sempre davanti a me, i tuoi costruttori accorrono, i tuoi distruttori e i tuoi devastatori si allontanano da te» (Isaia 49,20)

Antonelli: «Personalità eccezionale»
I funerali di Raffaello Torricelli si sono svolti in una affollatissima chiesa della Sacra Famiglia, in via Gioberti. Prima della celebrazione è stato letto il messaggio inviato dal cardinale Antonelli, che ricorda i molti campi in cui Torricelli ha operato: «come figlio fedele della Chiesa fiorentina, come cittadino innamorato della sua Firenze, della sua storia, della sua arte, come giurista illustre, come amministratore, come scrittore». Autore di vari volumi («Firenze e i fiorentini» e la biografia di don Bensi, editi da Polistampa, tanto per ricordarne alcuni), è stato tra i fondatore delle Conferenze Vincenziane e di altri numerosi sodalizi. L’avvocato Torricelli, afferma il Cardinale, «è stato uno di quelle eccezionali personalità che lasciano una traccia vera e duratura della loro presenza e della loro attività»

mercoledì 30 giugno 2004

Vittore Branca, la stupenda lezione laica di un cattolico

DA http://www.toscanaoggi.it/notizia_3.php?IDNotizia=3628&IDCategoria=205

30/06/2004 - Vittore Branca, la stupenda lezione laica di un cattolico

di Carlo Zaccaro

Se la vita di ogni uomo, anche dello statisticamente più anonimo, è sempre una parola del Dio creatore e va letta con il rispetto e la venerazione dovuti alla passione del Signore che l’ha divinizzata con il suo sacrificio, questa di Vittore Branca – scrive Armando Torno sul «Corriere della Sera» del 9 luglio 2003 per festeggiarne i novant’anni – «oltre ad essere stata spesa bene è irripetibile proprio per gli incontri avuti».

Per tentare di capire la vitalità umanistica di Vittore Branca penso di isolare tre incontri che più di altri si evidenziano nella sua biografia, ricchissima di amicizie e tutte molto importanti ed estremamente significative. Scelgo l’incontro con monsignor Montini, il futuro Paolo VI, fondamentale, l’incontro con La Pira negli anni fiorentini, l’incontro con il senatore Vittorio Cini nei lunghi anni veneziani della direzione della Fondazione Giorgio Cini.
Bene: qual è il motivo dominante della sua vita che da «ragazzotto» dalla natia Savona lo porta alla Normale di Pisa e poi a Firenze e poi a Venezia che la sua capacità organizzativa e il suo diamantino impegno intellettuale candiderà come capitale della cultura europea?

Il leit motiv della sua esistenza, seducente come una sinfonia, ma persistente come la vena di una dura roccia è la ricerca della verità e della libertà che il giovane e distinto prelato monsignor Giovan Battista Montini, assistente della Fuci, aveva assegnato come vocazione fondamentale ai giovani universitari cattolici.

Nel 1964, già da Papa, celebrando nella Cappella dell’Università di Roma, aveva esortato discenti e docenti con queste audaci parole: «Non temete, prolungate sino al convincimento la vostra vigilia, ma siate onesti sempre, cercate sempre. Se così sarà non vi terrete paghi di uno stato di languida pigrizia, ma spingerete il vostro dubbio sino all’estreme conseguenze». Ancora sette anni dopo nel 1971 ai laureati: «Bisogna aver la virtù d’imporre a se stessi il primato della ragione, dello studio, dell’onestà del pensiero, del silenzio, della critica costruttiva, della concezione resa personale sul mondo degli esseri, degli avvenimenti, dei doveri» e tutto questo in una prospettiva dello Spirito, «Spirito di verità, lo Spirito che la fede ci dice essere il Maestro interiore, lo Spirito di Cristo». Il 26 marzo del 1936 con un semplice biglietto Montini comunicava a Vittore quella che sarebbe stata la regola d’oro della sua vita: «La ricerca ha dignità pari alla preghiera ed è empietà voler sfruttare o strumentalizzare la ricerca a fini diversi». Branca non si distaccherà mai da questo insegnamento. Anche i suoi risultati scientifici conseguiti dopo accanite quanto geniali ricerche – si pensi solo alla scoperta del manoscritto di Boccaccio – che ne hanno fatto il più grande filologo umanista.

Branca aveva ereditato il tormento montiniano sfogandolo in un superlativo impegno di vita fin quasi agli ultimissimi giorni. Erano diventati sempre più rari gli uomini pellegrini dell’Assoluto. Il primato dell’anima, la grande acquisizione della civiltà classica e cristiana sembra soppiantato, agli occhi di Montini, dallo scientismo e dal mito materialistico del benessere e della ricchezza. Branca aveva interiorizzato l’esempio e l’insegnamento di Montini, facendone proprie tutte le implicite conseguenze.

I perspicui risultati raggiunti nella ricerca da Branca se sono innegabilmente frutto di una grande intelligenza lo sono anche per una certa ascesi che ha sempre salvaguardato le sue scelte.

Branca si era trasferito a Firenze nel 1937. Lo si poteva trovare spesso nella casa ospitale di don Bensi, mentre poco lontano Giorgio La Pira stava già diventando il punto di riferimento di tutti gli avversi alla tirannide fascista.
Branca dette un vigoroso apporto alla lotta per la liberazione di Firenze tenendo i contatti con tutte le forze clandestine antifasciste, disapprovando con profonda amarezza l’uccisione di Giovanni Gentile che era stato suo direttore alla Normale di Pisa e che l’aveva anche difeso quando il giovane normalista non lesinava di mostrare di essere cattolico e antifascista.

La sede dell’editrice Le Monnier a Firenze – si entrava da via San Gallo e si usciva da via Santa Reparata – nascondeva le carte del Comitato di liberazione e permetteva nei suoi scantinati di stampare i fogli inneggianti alla liberazione e alla resistenza. Uscì anche «La Punta», foglio dei giovani democristiani con l’editoriale di Branca (ovviamente non firmato) «Parole ai giovani».

La Pira, intanto, dopo una sosta nel senese in casa Mazzei per sfuggire ai tedeschi si era rifugiato in Vaticano da monsignor Montini. Ritornerà a Firenze liberata e intraprenderà quel «colloquio sui poveri» che lo porterà sulle ali del loro voto ad essere il primo cittadino di Firenze. Ma anche in Giorgio La Pira ciò che Branca privilegiava era la sua ricerca di verità diventata per le lunghe ore di preghiera contemplazione e dono ai poveri nelle omelie domenicali di San Procolo.

Montini e La Pira hanno costituito nella ricerca dello splendore della verità, insieme ad altri certamente, ma non in maniera così eminente, la vena d’acqua sorgiva cui ha attinto con venerazione ma con franchezza e a fronte alta la sete di sapere del giovane professore Branca. Ma chi l’ha spinto al largo, favorito dal vento di queste rassicuranti e feconde amicizie, è stata la chiamata a Venezia del senatore Vittorio Cini che intuendo il valore di quell’intelligenza, affidò a Vittore Branca la fondazione in memoria del figlio Giorgio. In poco tempo Venezia, grazie alla Fondazione Cini, divenne la sede regale per il dialogo interculturale, interetnico, interreligioso, ospitando con ritmo inesausto nei molteplici convegni le personalità più attente alla evoluzione storica della nostra civiltà.

Al fedele discepolo Timoteo, Paolo raccomanda: «Sforzati di presentarti davanti a Dio come un uomo degno di approvazione, un lavoratore che non ha di che vergognarsi, uno scrupoloso dispensatore della parola della verità».
Ma la vergogna – se mai il suo rossore si fosse affacciato nella vita di Vittore Branca – si è trasfigurata, deposta la veste di instancabile rabdomante della verità, di lavoratore per il Regno, nella luce dell’apprezzamento divino ed è diventata gaudio contemplativo della Verità eterna

giovedì 4 aprile 2002

Anton Giulio Sesti - Premio Testimonianza 2002

 da  http://www.rotaryfirenzeest.it/index.php?option=com_content&view=article&id=76:premio-testimonianza-2002&catid=40:testimonianza&Itemid=55



4 Aprile 2002 - Premio Testimonianza 2001/2002
Presidente : Carlo Vallecchi - Commissione: Anton Giulio Sesti, Luigi Cobisi, Lino Moscatelli, Piero Petrocchi.


Per il 2002 il Premio è stato assegnato durante la riunione del 4 Aprile a:
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Don Carlo Zaccaro


Intervento del prof. Anton Giulio Sesti


Stasera si celebra la 26esima Edizione del nostro "Premio Testimonianza”. Sono trascorsi tanti anni da quel lontano 1976. Rileggendo i nomi dei Premiati, ho avuto il piacere di appurare che sono stati tutti “alti esempi” di quello che l'Amico Bino Bini e Giorgio Colzi volevano che fosse e cioè : " Premiare chi fa più del suo dovere verso il Prossimo secondo il motto rotariano del Servire ".


E così, anche quest'anno premieremo:


- 1°) - Una Persona, con un carisma fuori del comune, che ha speso tutta la Sua vita a completo servizio del Prossimo.


- 2°) - Una associazione che ha saputo realizzare quello che la Società Italiana di Gerontologia e Geriatria - che ho l'onore di rappresentare come Presidente Onorario, auspica da sempre.


Ha fatto così molto bene il nostro Club ad istituire due Premi : uno, il Columbus, riservato a Personaggi carichi di onori e riconoscimenti che fanno onore al nostro Club. L'altro, il Testimonianza, riservato a Persone che, nel silenzio e spesso nell'anonimato, fanno " più del loro dovere " perché fanno del Servire una loro bandiera che porta a noi il grande onore di farli conoscere a tutti. Come prima cose ringrazio il nostro Presidente Carlo Vallecchi che ha voluto riservarmi, anche quest'anno, tale onore. Ringrazio i graditi Ospiti, le Consorti, gli Amici presenti, la Cassa di Risparmio di Firenze per la sua generosa presenti, disponibilità, il Consiglio tutto e gli Amici Cobisi, Moscatelli e Petrocchi per la validissima collaborazione.



Don Carlo Zaccaro





Anni fa, in occasione di un Premio Testimonianza Vi raccontai una favola, o meglio una storia che sembrava una vera favola ma che invece era una realtà. Oggi, 26° anno di Premio, Vi racconterò un'altra storie che ha della favola, anche se, per questa volta, è una realtà vissuta. Come tutte le favole inizia così: C’era una volta un uomo che, in macchina, negli anni '50, scendeva da Via di Careggi per Via Incontri e tutte le mattine incrociava un giovane che, a piedi, risaliva Via Incontri, così immerso nella lettura di un libro che non si poteva vederne il volto. Dopo vari giorni di questi "incontri", quest'uomo si incuriosì e volle sapere chi fosse e cosa facesse quel giovane che tutte le mattine, alla stessa ora era sempre immerso nella lettura. Venne così a sapere che si trattava di un giovane Prete che, tutte le mattine andava a celebrare la S. Messa dalle Suore di Clausura del Carmelo leggendo logicamente il suo breviario. Ma inaspettatamente tutto fu chiaro: quei due si erano conosciuti a cavallo degli anni Trenta, nelle stanze di Don Bensi! Si instaurò così fra i due una fraterna amicizia che, non solo dura tuttora, che anzi oggi è ancora più forte, dopo ben oltre mezzo secolo! Perché quell'uomo che scendeva ero io e quel giovane Prete che saliva, è quel che stasera festeggiamo, cioè Don Carlo Zaccaro, quel giovane, nato a Prato, nel 1922; a Firenze frequenta il Liceo Dante e di conseguenza e come lui sa da Don Bensi, famoso Educatore e Confessore di generazioni di studenti fiorentini di allora; amato e stimato da Tutti. NeIle stanze di Don Bensi, sempre aperte a tutti in tutte le ore, compreso il pranzo, si viveva un'aria tutta particolare perché erano Ospiti abituali gli uomini della Firenze cattolica e no di allora: dal Prof. La Pira a Lapo PisteIli, da Don Milani a Bernabei, da Fioretta Mazzei a Don Cuba, da Don Pinelli e Cavini, Lampronti e tanti non cattolici e persino Ebrei. E così conobbi in quelle stanze anche un giovane silenzioso e schivo, ma, dato che io ero più vecchio, la conoscenza si limitò ai saluti di amicizia studentesca. Dopo il triste e tremendo intervallo della guerra, si arriva velocemente agli anni '50 con il fortuito incontro di Via di Careggi. Cosa era successo al giovane conosciuto fugacemente tanti anni prima ? Conseguita la maturità classica, si iscrive alla Facoltà di Giurlsprudenza di Firenze, frequenta la famosa F.U.C.I. (dove conosce personaggi di assoluto rilievo come Don Franco Costa, Don Emilio Guano e stringe amicizia con Giulio Andreotti, Aldo ed Alfredo Carlo Moro, Francesco Cossiga. Dopo l’8 settembre '45 aderisce al famoso Gruppo di Radio Cora. Poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, don Bensi parla dell'Opera Madonnina del Grappa di Don Giulio Facibeni ed invita Carlo Zaccaro e l'amico Corso Guicciardini Corsi Salviati a collaborare con il Pievano di Rifredi. L'invito venne accolto ed iniziò per i due amici una vicenda che dopo più di mezzo secolo è sempre saldissima. Nel 1946 Carlo Zaccaro entra a far parte dell'Opera Madonnina del Grappa, nel 1955 riceve l'ordinazione sacerdotale, dedicandosi ad educare gli studenti universitari e delle scuole medie superiori residenti a Villa Guicciardini.


La sua testimonianza è stata ed ancor oggi, per la Chiesa e per la città di Firenze, è un segno nitido di impegno religioso, civico e culturale di altissimo livello. A Villa Guicciardini segue 15 studenti che frequentano le nostra Università e le Scuole superiori. Nell'anno accademico 2000/01 si sono laureati: 5 in Architettura, 2 in Scienze Politiche, 1 in Economia e Commercio, 1 in Scienze Forestali, 1 in Ingegneria Elettronica ed 1 ha conseguito il Diploma universitario di Tecnico di laboratorio Biomedico. Ma Don Carlo non si ferma e senza dimenticare il suo impegno nelle più varie Riviste, non bisogna dimenticare che fu anche un Giurista di vastissima ed elegante cultura, Ricercatore notevole con addirittura libera Docenza, collaboratore di Giangastone Bolla, Redattore Capo della Rivista di Diritto agrario, ecc. tanto che il Prof. Umberto Santarelli conclude la sua biografia, affermando "che quella di Don Carlo Zaccaro è stata una presenza discreta ma profondamente significativa nella cultura cattolica fiorentina e nella. Scienza agraristica jtgliana della seconda metà del novecento. Ma non contento cura in Firenze la Scuola Professionale della Madonnina del Grappa con allestimento di Corsi di tre anni per provetti operai (idraulici, frigoristi, elettricisti e meccanici). Inoltre notevole impulso alla Cooperativa "Agricampus " a Barberino di Mugello con boschi, prati, allevamenti di pecore ed altro bestiame per quei ragazzi che desiderano svolgere una attività agricola. Se tutto questo non basta don Carlo si è occupato di Immigrati, di Carcerati con Don Cuba, di Adozioni ( importantisssimo) ma anche di Catechesi degli adulti ( come Padre Lupi ) delle meravigliose Suore di Maria Teresa di Calcutta, fino a creare il famoso complesso delle " Casette " per accogliere persone anziane, quando io mi trovai in difficoltà per sistemare 25 persone anziane!! Ce ne sarebbe per riempire più vite e più persone! Ma non basta.


Don Carlo nel 1992, su indicazione delle Suore di Madre Teresa di Calcutta, fa visita in Albania a un Orfanotrofio e rimane scioccato dell'abbandono e dalla sporcizia in cui erano tenuti i bambini, per lo più celebrolesi. In una stanza di 5 metri per 5, si trovavano ammucchiati una ventina di piccoli da 4 a 6 aa. ed altri più grandicelli seduti su dei vasetti appoggiati a pareti, mentre nel centro c'erano urine ed escrementi. Immediatamente decise di aiutare questi poveri esserini. Con notevole sacrificio anche finanziario per l'Opera ( oltre 500 milioni ) costruì ed arredò un moderno edificio con un moderno Ambulatorio comprensivo ai sala per visite, stanze per il Medico di guardia, bagno, cucina e servizi oltre una bella camera! per la Degenza dei 25 bambini celebrolesi. Dopo questo inizio, don Carlo preso in affitto case per collocarci altri bambini handicappati sottratti al " Lager " ( siamo a 35 ). Infine per conto della Madonnina del Grappa, don Carlo acquista un'altra casa (costo oltre 460 milioni ) per far ben funzionare tutto ciò, partono in continuazione dalla Madonnina del Grappa tanti Tir pieni di tutto quello che serve per continuare nel tempo le tante attività realizzate, ma che la Albania non può mantenere perché poverissima. L'Albania uscita dalla peggiore dittatura che si possa immaginare. chiusa in se sia ad Est che ad Ovest, deve ricostruire " tutto ". L'Albania, dal canto suo, come riconoscimento per quanto don Carlo ha fatto e fa per loro lo ha insignito della " Cittadinanze Onoraria della Città di Scutari.
Le motivazioni del premio

Sacerdote illuminato, Uomo meraviglioso, Faro di bontà, sempre disponibile per tutti, specie per gli " Ultimi”. Don Carlo Zaccaro Ha dedicato tutta la Sua vita di Sacerdote, di Uomo e di Docente per il bene del " Prossimo bisognoso '' nei suoi vari aspetti : morali, spirituali, religiosi, sociali, riabilitativi, materiali e caritativi. Convinto, secondo gli insegnamenti di Don Giulio Facibeni che un buon cittadino deve avere cultura, spiritualità, professionalità, disponibilità ed amore per tutti si è impegnato con tutto se stesso per tutta la sua vita nel compito di soccorrere ed educare il " Prossimo bisognoso " senza alcuna limitazione di tempo, luogo, etnia, religione e ceto sociale. Incurante della fatica, della sua età e dei luoghi pericolosi, ha rischiato perfino la Sua incolumità personale, per fare del bene.Esempio luminoso di grande testimonianza civile e religiosa ad altissimo livello. Che Dio gli renda merito.

Santa Messa per i 10 anni dalla morte di don Carlo Zaccaro

22 Maggio alle ore 18 nella Chiesa di San Michelino Visdomini in via dei Servi a Firenze. Santa Messa per i 10 anni dalla morte di don Car...