domenica 1 gennaio 2012

CI HA LASCIATI MARIA GIOVANNA DI NOMADELFIA



Ieri, con la fine dell'anno, ci ha lasciati Maria Giovanna di Nomadelfia.
Era responsabile delle scuole e si era occupata dei figli di Nomadelfia che hanno proseguito gli studi all'Università di Firenze.
Alcuni di loro hanno vissuto con don Carlo a Villa Guicciardini.

In questo momento siamo vicini a Beppe (il marito), a Terenzio, agli altri figli e a tutta Nomadelfia.



VEDI http://www.nomadelfia.it/ita/news/maria_giovanna.html

VEDI ANCHE

11/01/2012 - 15:01 - L’ultima danza per Giovanna, la maestra di Nomadelfia


DI MAURIZIO NALDINI









Il popolo di Nomadelfia ha inaugurato quest’anno con un funerale. Se n’è andata Maria Giovanna, una delle colonne della comunità di don Zeno, alla quale fu affidata la missione di organizzare e dirigere la scuola. Prima le elementari, poi le medie, le medie superiori. Negli ultimi tempi Giovanna era riuscita ad andare oltre. E grazie a gruppi di amici fiorentini - don Carlo Zaccaro per la Madonnina del Grappa, da Gigliola Borgia a Ghita Vogel, all’Associazione Fioretta Mazzei ecc.- era riuscita a dare ai suoi ragazzi una casa ed un aiuto, perché frequentassero l’università a Firenze.

Ancora adolescente, Giovanna aveva scelto di essere una delle madri di don Zeno. Veniva da una importante famiglia del Nord Italia, era colta, aveva modi raffinati, parlava poco ma sapeva ascoltare, non negava mai il suo aiuto a chi aveva bisogno. Quando don Zeno la invitò ad entrare nella comunità, si trovò ad insegnare italiano e storia ai suoi coetanei. Ebbe sempre un ruolo guida, riconosciutole da tutti con naturalezza. Eppure, era talmente umile che nessuno poteva mai umiliarla. Testimoniava una fede attiva. Con le sue opere, seppe indicare un futuro a Nomadelfia anche dopo la morte di don Zeno. Questo non le impedì di essere moglie, madre, con i suoi figli e quelli di adozione.

Negli anni, Giovanna svolse anche altri ruoli, fondamentali per la Comunità. Era lei ad accogliere i giornalisti che capitavano a Nomadelfia per raccontare come un’utopia potesse diventare realtà. Erano gli anni in cui si faceva un gran parlare dei kibbutz israeliani e delle comunità maoiste, dei figli dei fiori, dei Bambini di Dio ed altre esperienze del genere. Qualcuno credeva per davvero, in quei giorni, che il futuro del mondo fosse nelle comunità californiane o in quelle marxiste. Occorreva davvero molta fede per credere che Nomadelfia sarebbe rimasta l’unica, mentre tutto il resto crollava, intorno a noi.

Ho conosciuto Giovanna in una di queste occasioni. Per una intervista a don Zeno, quindi per i suoi funerali. Noi, inviati speciali delle più varie testate, rientravamo da una dura esperienza a Beirut. Scrivevamo in quei giorni anche di mafia e terrorismo. E ricordo come molti colleghi, cinici all’apparenza, crollarono in lacrime mentre Giovanna spiegava cosa fosse Nomadelfia, mentre i bambini ballavano intorno alla bara aperta di don Zeno.

Per cinquant’anni Giovanna ha svolto il suo compito nella comunità. E adesso che aveva vinto anche l’ultima battaglia, quella per mandare i ragazzi all’università, ha ceduto all’abbraccio del Signore. È morta per le conseguenze di una lunga e sofferta malattia la sera di San Silvestro. I funerali si sono svolti il 2 gennaio. E anche per lei i giovani in costume hanno danzato, mentre il cielo si apriva all’orizzonte - festa di luci dopo un giorno di pioggia - con un tramonto insolito a gennaio, anche in Maremma. La chiesa era colma. Da Firenze erano venuti in molti. Tutti sapevano che i Nomadelfi, popolo di autentica fede che dà scandalo in nome del Vangelo,sanno trasformare i funerali in una festa. E così è stato, anche per Giovanna.


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Riporto di seguito un articolo apparso su Famiglia cristiana che parla anche di lei.

DA FAMIGLIA CRISTIANA
http://www.stpauls.it/fc03/0351fc/0351f103.htm

LA FAMIGLIA
LA STORIA: NOMADELFIA, LA COMUNITÀ DI DON ZENO SALTINI


IL SOGNO VERO DELLA GRANDE
"FAMIGLIA DI FAMIGLIE"



Beppe lo incontriamo al centralino: più che "centralinista", preferisce definirsi "ortolano". Comunque è Beppe e basta, perché anche i cognomi sono superflui per chi vuole essere semplicemente un "fratello". Beppe a Nomadelfia c’è sempre stato: è arrivato con don Zeno nel 1954, quando questo pezzo di Maremma era poco più che una pietraia. È uno dei 5.000 "accolti" che sono passati di qui: lui ha deciso di restare. Sua moglie, Maria Giovanna, è approdata a Nomadelfia a 19 anni.

«Avevo incontrato don Zeno presso le Orsoline di Cortina, dove studiavo», spiega, «sono venuta per curiosità e poi sono rimasta per scelta: sono convinta che mi ci abbia portato il Signore».

Lei e Beppe si sono sposati e hanno avuto 10 figli tra "naturali" e "accolti": sono una delle 50 famiglie di Nomadelfia, la comunità fondata da don Zeno Saltini per vivere il Vangelo come lo vivevano le prime comunità cristiane.

Don Zeno era di Carpi (Modena): ordinato sacerdote, aveva cominciato prendendo come figlio un ragazzo appena uscito di prigione. A San Giacomo Roncole, nel 1932, aveva fondato l’"Opera Piccoli Apostoli" per dare una famiglia ai bambini abbandonati. Nel 1947, con la sua gente, aveva occupato l’ex campo di concentramento di Fossoli, per dar vita a una società evangelica.

Vita comunitaria, in sobrietà

Don Zeno è morto nel 1982. Oggi i "nomadelfi" sono più di 300. A Nomadelfia, che in greco significa "legge di fraternità", non c’è proprietà privata, non circola denaro, tutto è in comune, compresi i lavori più pesanti. Si vive con sobrietà, per non essere "né ricchi né poveri". Ci sono gli orti, i laboratori, le viti, gli ulivi e anche una Tv via cavo. Un presidente è eletto democraticamente ogni quattro anni. Ma la famiglia è alla base dell’organizzazione sociale.

«La famiglia è l’unica istituzione voluta dal Creatore», spiega don Enzo, 90 anni, successore di don Zeno. La famiglia dei nomadelfi cerca di ritrovare una parentela superiore, che nasce dal riconoscimento di Dio come padre. Vuole essere generosa e aperta agli altri. Sono 11 gruppi: comunità di quattro, cinque famiglie che vivono insieme, in un’unica abitazione centrale con intorno le casette individuali adibite a stanze da letto. Ogni tre anni si cambiano la casa e la composizione dei gruppi.

«Il gruppo ci aiuta, anche nel rapporto di coppia», continua Maria Giovanna, «le tensioni si attenuano. Siamo coppie di sposi o genitori di vocazione o anche single. Ci aiutiamo a vicenda. Io ho avuto 10 figli e non sono mai stata a casa: tutti gli adulti si sentono genitori di tutti i nostri figli».

Maria Giovanna è responsabile della "Scuola familiare" di Nomadelfia. «Da noi la famiglia è protagonista anche per quanto riguarda l’educazione scolastica: è una possibilità consentita dalla costituzione. La nostra scuola rispetta i programmi, ma propone la nostra visione della vita e mette al primo posto la fraternità e la generosità».

Gli studenti sono 140, dall’asilo alle superiori. L’obbligo scolastico arriva ai 18 anni. I ragazzi si presentano agli esami come privatisti, ma non ci sono voti. «A 18 anni i nostri figli decidono se vogliono rimanere o prendere altre strade: noi non li cresciamo con l’idea che debbano essere di Nomadelfia. Vogliamo che questo sia per loro un trampolino di lancio e che, qualunque scelta facciano, siano capaci di amare e siano utili agli altri». Sandro si occupa dell’accoglienza. A Nomadelfia arrivano più di 10.000 visitatori all’anno, accolti e ospitati in famiglia. Dal 2000 è disponibile anche una foresteria.

«Siamo una comunità aperta, come cittadini del mondo viaggiamo e facciamo viaggiare i nostri figli», continua Sandro, che è arrivato qui a 23 anni, da Subiaco. «Studiavo ingegneria, ho fatto una scelta di cui non mi sono mai pentito: chi lascia Nomadelfia si porta dietro una nostalgia che dura per sempre».

Anche Antonello è venuto qui per scelta, 35 anni fa. Ha deciso quando ne aveva solo sei: «Ero in collegio a Santa Severa quando è arrivato don Zeno con la sua gente per organizzare le famose "serate danzanti" di Nomadelfia. Ero piccolo, ma capivo che i loro bambini erano liberi e felici, e io no. Quando sono partiti, ho preso la mia roba e sono salito in pullman con loro».

Simonetta Pagnotti

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