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30/06/2004 - Vittore Branca, la stupenda lezione laica di un cattolico
di Carlo Zaccaro
Se la vita di ogni uomo, anche dello statisticamente più anonimo, è sempre una parola del Dio creatore e va letta con il rispetto e la venerazione dovuti alla passione del Signore che l’ha divinizzata con il suo sacrificio, questa di Vittore Branca – scrive Armando Torno sul «Corriere della Sera» del 9 luglio 2003 per festeggiarne i novant’anni – «oltre ad essere stata spesa bene è irripetibile proprio per gli incontri avuti».
Per tentare di capire la vitalità umanistica di Vittore Branca penso di isolare tre incontri che più di altri si evidenziano nella sua biografia, ricchissima di amicizie e tutte molto importanti ed estremamente significative. Scelgo l’incontro con monsignor Montini, il futuro Paolo VI, fondamentale, l’incontro con La Pira negli anni fiorentini, l’incontro con il senatore Vittorio Cini nei lunghi anni veneziani della direzione della Fondazione Giorgio Cini.
Bene: qual è il motivo dominante della sua vita che da «ragazzotto» dalla natia Savona lo porta alla Normale di Pisa e poi a Firenze e poi a Venezia che la sua capacità organizzativa e il suo diamantino impegno intellettuale candiderà come capitale della cultura europea?
Il leit motiv della sua esistenza, seducente come una sinfonia, ma persistente come la vena di una dura roccia è la ricerca della verità e della libertà che il giovane e distinto prelato monsignor Giovan Battista Montini, assistente della Fuci, aveva assegnato come vocazione fondamentale ai giovani universitari cattolici.
Nel 1964, già da Papa, celebrando nella Cappella dell’Università di Roma, aveva esortato discenti e docenti con queste audaci parole: «Non temete, prolungate sino al convincimento la vostra vigilia, ma siate onesti sempre, cercate sempre. Se così sarà non vi terrete paghi di uno stato di languida pigrizia, ma spingerete il vostro dubbio sino all’estreme conseguenze». Ancora sette anni dopo nel 1971 ai laureati: «Bisogna aver la virtù d’imporre a se stessi il primato della ragione, dello studio, dell’onestà del pensiero, del silenzio, della critica costruttiva, della concezione resa personale sul mondo degli esseri, degli avvenimenti, dei doveri» e tutto questo in una prospettiva dello Spirito, «Spirito di verità, lo Spirito che la fede ci dice essere il Maestro interiore, lo Spirito di Cristo». Il 26 marzo del 1936 con un semplice biglietto Montini comunicava a Vittore quella che sarebbe stata la regola d’oro della sua vita: «La ricerca ha dignità pari alla preghiera ed è empietà voler sfruttare o strumentalizzare la ricerca a fini diversi». Branca non si distaccherà mai da questo insegnamento. Anche i suoi risultati scientifici conseguiti dopo accanite quanto geniali ricerche – si pensi solo alla scoperta del manoscritto di Boccaccio – che ne hanno fatto il più grande filologo umanista.
Branca aveva ereditato il tormento montiniano sfogandolo in un superlativo impegno di vita fin quasi agli ultimissimi giorni. Erano diventati sempre più rari gli uomini pellegrini dell’Assoluto. Il primato dell’anima, la grande acquisizione della civiltà classica e cristiana sembra soppiantato, agli occhi di Montini, dallo scientismo e dal mito materialistico del benessere e della ricchezza. Branca aveva interiorizzato l’esempio e l’insegnamento di Montini, facendone proprie tutte le implicite conseguenze.
I perspicui risultati raggiunti nella ricerca da Branca se sono innegabilmente frutto di una grande intelligenza lo sono anche per una certa ascesi che ha sempre salvaguardato le sue scelte.
Branca si era trasferito a Firenze nel 1937. Lo si poteva trovare spesso nella casa ospitale di don Bensi, mentre poco lontano Giorgio La Pira stava già diventando il punto di riferimento di tutti gli avversi alla tirannide fascista.
Branca dette un vigoroso apporto alla lotta per la liberazione di Firenze tenendo i contatti con tutte le forze clandestine antifasciste, disapprovando con profonda amarezza l’uccisione di Giovanni Gentile che era stato suo direttore alla Normale di Pisa e che l’aveva anche difeso quando il giovane normalista non lesinava di mostrare di essere cattolico e antifascista.
La sede dell’editrice Le Monnier a Firenze – si entrava da via San Gallo e si usciva da via Santa Reparata – nascondeva le carte del Comitato di liberazione e permetteva nei suoi scantinati di stampare i fogli inneggianti alla liberazione e alla resistenza. Uscì anche «La Punta», foglio dei giovani democristiani con l’editoriale di Branca (ovviamente non firmato) «Parole ai giovani».
La Pira, intanto, dopo una sosta nel senese in casa Mazzei per sfuggire ai tedeschi si era rifugiato in Vaticano da monsignor Montini. Ritornerà a Firenze liberata e intraprenderà quel «colloquio sui poveri» che lo porterà sulle ali del loro voto ad essere il primo cittadino di Firenze. Ma anche in Giorgio La Pira ciò che Branca privilegiava era la sua ricerca di verità diventata per le lunghe ore di preghiera contemplazione e dono ai poveri nelle omelie domenicali di San Procolo.
Montini e La Pira hanno costituito nella ricerca dello splendore della verità, insieme ad altri certamente, ma non in maniera così eminente, la vena d’acqua sorgiva cui ha attinto con venerazione ma con franchezza e a fronte alta la sete di sapere del giovane professore Branca. Ma chi l’ha spinto al largo, favorito dal vento di queste rassicuranti e feconde amicizie, è stata la chiamata a Venezia del senatore Vittorio Cini che intuendo il valore di quell’intelligenza, affidò a Vittore Branca la fondazione in memoria del figlio Giorgio. In poco tempo Venezia, grazie alla Fondazione Cini, divenne la sede regale per il dialogo interculturale, interetnico, interreligioso, ospitando con ritmo inesausto nei molteplici convegni le personalità più attente alla evoluzione storica della nostra civiltà.
Al fedele discepolo Timoteo, Paolo raccomanda: «Sforzati di presentarti davanti a Dio come un uomo degno di approvazione, un lavoratore che non ha di che vergognarsi, uno scrupoloso dispensatore della parola della verità».
Ma la vergogna – se mai il suo rossore si fosse affacciato nella vita di Vittore Branca – si è trasfigurata, deposta la veste di instancabile rabdomante della verità, di lavoratore per il Regno, nella luce dell’apprezzamento divino ed è diventata gaudio contemplativo della Verità eterna